lunedì 26 agosto 2013

NOTTE

Siamo in tre, Tonio, io e il figlio di Salvatore.
E' qualche giorno che aspettiamo, perché il pescatore, amico di Salvatore, per tre sere di fila ci ha negato la partenza, anche se a noi il mare sembrava soltanto un po' mosso. Stasera abbiamo finalmente ricevuto un cenno di assenso.
Dire che ho sempre sognato questa notte passata in barca a pescare è un po' esagerato, soprattutto perché a diciott'anni non si ha un "sempre" dietro le spalle. Però questa notte in cui non dormirò nel mio comodo letto la immagino come un'avventura salgariana, e non mi dispiacerebbe che fossimo attaccati da un praho affollato da pirati vocianti.
Ci ha detto di presentarci alle dieci, ma non ci ha detto come. Il primo errore è stato quello di andarci a mangiare la pizza. Il secondo è stato quello di pensare che in una notte di agosto non ci potesse essere freddo.

Il buio della notte di luna nuova è spezzato soltanto dalla luce della lampara, assai fioca. Comunque siamo partiti, finalmente.
Non saprei dire il perché ma una volta che la prua solca le onde diventiamo silenziosi. Il nostro duca fuma, senza posa. Non ci guarda e non ci parla. La statua di un marinaio, si direbbe. Dirige il timone verso un punto che lui conosce ma a noi è sconosciuto.
Non è passato un quarto d'ora che al più magro di noi la pizza incomincia, lentamente ma con grande risolutezza, a fare il percorso a ritroso. Lui, come noi, cerca di fissare la sua attenzione all'onda separata e illuminata, unico oggetto degno di essere visto. La sua faccia per fortuna no, è così gialla che ci farebbe paura.
Un mugolio ci avverte comunque che la pizza vuole imperiosamente uscire. Per delicatezza (disinteresse?) gli voltiamo le spalle. Ma anche le nostre, di pizze, si dimenano furiosamente.
Il capitano prende qualcosa da un sacco, e glielo porge in silenzio. Scrocchia, sotto i suoi denti. Domattina scopriremo che è un pan secco strofinato con l'acciuga salata. Sta meglio, il giovane, e si accoccola sul fondo della barca, stringendosi le gambe con le braccia.
Non voglio guardare l'orologio e non saprei dire che ora sia. Non mi interessa. Al di là del fatto che ho i visceri in subbuglio e batto i denti per il freddo, mi sento bene.
Tante volte nella vita mi capiterà che una bella cosa sia sempre leggermente rovinata da un fastidioso neo. Un po' come fare l'amore col mal di schiena. Non esiste il piacere assoluto, ma, per fortuna, non lo posso ancora sapere.
La barca prosegue silenziosa. Aspettando i saraceni, o i tigrotti di Mompracem, mi guardo intorno, ma le stelle da sole non mi possono aiutare. Non vedo altre barche, e questo potrei capirlo, però non vedo né terra né orizzonte: un'onda, un'onda sola e improvvisa potrebbe ucciderci in un attimo, e sarebbe una morte infinitamente più bella che sopravvivere, per un caso maligno, nel mare freddo, con la consapevolezza di avere soltanto l'attesa della morte. Non posso ancora aver capito che aspettare la morte è il destino della nostra vita.
In questi pensieri, più di paura che di filosofia, mi accorgo che il motore si è fermato. Il nostro capo ha deciso di essere arrivato. Chissà quanto lontani siamo dalla terraferma.
Si alza e bofonchia qualcosa ai miei due compari, marinai mezzi addormentati di una notte, e incominciano a buttare le reti. Fuma sempre, quell'uomo.
Adesso tutto tace, di un silenzio così greve che mi impedisce di dormire. Anche lo stomaco si è zittito.
E' proprio in questo momento che incomincia quella parte di avventura che aspettavo con tanto desiderio, il momento in cui tutto ciò che hai attorno ti è d'aiuto a guardarti dentro. Solo me e la lampara che illumina qualche sfavillante metro d'acqua.
Il fatto è che "indietro" e "dentro" c'è davvero ben poco da vedere, e di quel poco emergono solo cose tristi, se non proprio dolorose, come certi sabati pomeriggio chiuso in casa...
Del resto io sono fatto così: il Navigatore, se volesse parlarmi con la sua beffarda saggezza, mi direbbe "Se nasci quadrato non puoi diventare rotondo". E se essere quadrato porterà sofferenza, a me e a chi mi sarà intorno, di questa bisognerà in qualche modo farsene carico.
L'amico silenzioso fuma, e darei volentieri le cinquecento lire che ho in tasca per sapere cosa pensa, se mai desideri pensare.
Mi sono persino abituato al freddo. Cerco di capire qualcosa nel disegno delle stelle ma riesco soltanto a realizzare che qualcuna è, chissà poi perché, più luminosa delle altre.
Non ho più nessuna paura. Cerco, e per qualche attimo ci riesco, a sentirmi una sola cosa con questa natura umida che mi è dintorno, voglio essere una stupida tessera di un mosaico del quale non potrò mai conoscere il disegno. Solo un soldatino, una sentinella, forse. Ma sento di avere un mio perché.
Non saprei dire quanto tempo sia passato, e continuo a non voler vedere l'orologio, che anzi desidero slacciare e dare in pasto ai pesci. Non lo faccio solo perché è un regalo della Comunione. Forse un po' mi assopisco.
Quando riapro gli occhi la barca non è più ferma: sta tornando a casa con la stessa serena placidità dell'andata. Ma ora la notte sta morendo, anche essa con grazia e delicatezza. Non vedo più le stelle ma, in compenso, riconosco un orizzonte che, di minuto in minuto, cambia colore. E improvvisamente il cuore mi si riempie di gioia, così come quando, più avanti negli anni, rivedrò dopo lungo tempo una persona cara. In fin dei conti non tutto è morte, c'è anche la nascita. E ogni nascita porta con sé la gioia di una vita ancora aperta a tutto ciò che di più bello si possa desiderare. Purtroppo non lo posso capire completamente, ho solo diciott'anni.
Ma non ce n'è bisogno, vorrei alzarmi in piedi, gridare alla luce, anche un po' anche piangere vorrei..... Il duce, che mi legge dentro anche se analfabeta, mi sta dicendo con gli occhi che ci sarà una nuova notte: "Stai tranquillo, "guagliò".
Arriviamo in spiaggia che il sole non è ancora sorto da dietro le montagne. I pescatori commentano sottovoce il risultato della notte, e capisco dalle loro espressioni che non sono contenti, se mai lo possano essere.
Solo il nostro vecchio comandante ridacchia sotto i baffi, con tre pesciolini addormentati in barca.


"All'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso".

Faber, 1970.