lunedì 12 novembre 2018

Padri e figli (2)

Ho appena finito di scopare. Veramente è stato un solo un tentativo. Con la sensazione di sconforto che mi pesa sulle spalle come una coperta militare, mi alzo. «Vado a prendere le Marlboro».
Non sopporto di vederle quel sedere e quelle gambe lardose, splendidi solo per Rubens.
Non dorme, fa finta, così non dobbiamo dirci nulla.
Mi siedo in cucina appoggiando i gomiti sul tavolo di fòrmica e, intanto che mi accendo la sigaretta, mi cade l'occhio sui margini sbeccati, come se l'avesse rosicchiato un castoro. Tossisco più volte, e mi gira la testa. Non sono felice né infelice, solo vuoto come un sacchetto nero della spazzatura. Quelli grossi, in cui puoi anche infilare un cadavere. Anche il fumo aumenta questa sensazione di assenza dei sentimenti. Chissà se questa donna mi fruga nei cassetti del comodino: un giorno o l'altro qualcuna di loro troverà la pistola e ci faremo delle risate.
Lo so che è pericoloso ma le raccatto lo stesso per la strada e me le porto a casa. Loro vogliono soltanto denaro, io conferme. Cedono un'ora di sé stesse: quello che io dico e faccio non gli interessa. In genere non sono neanche belle, né affascinanti. Nemmeno un po' carine.
Chissà se quella di stasera mi ha dato il voto: è abbastanza educata da non sentire la necessità di farmene parte. Io me lo do tutte le volte. Oggi cinque meno ma nei mesi scorsi ho raggiunto anche la sufficienza.
Il mio desiderio erotico è inversamente proporzionale alla capacità di praticarlo. E non è un esaurimento fisico, piuttosto la consapevolezza che non c'è più niente di cui si possa dire: «Guarda, questa è una novità». La Bibbia ha sempre ragione.
Tristissimo. Anche il dover cercare la novità in una donna sempre nuova ma continuamente uguale a sé stessa. Una ricerca imposta dal desiderio ma stroncata sul nascere dalla malinconia, dalla certezza di non essere più capace a trovare “quella” novità.
Chissà che voto mi avrebbe dato mio padre. Una bella testa d'asino a margine del foglio del quaderno – un messaggio per il maestro - è il ricordo più frequente. Stasera la potrebbe disegnare sul lenzuolo.
Non riesco a convincermi che non si può ragionevolmente dire a un bambino “Quali sono i tuoi bisogni emotivi?”. Lui era soltanto consapevole del dovere di insegnare ciò che ciò che a lui avevano insegnato come giusto, e ciò che non lo era.
Non riesco a ricordare in lui, dopo quarant'anni che se n'è andato, un momento in cui mi abbia dato quello che continuo a cercare. Soltanto critiche, rimproveri, “voti”.
Anche io ho avuto un figlio, e la promessa che mi sono fatto è stata quella di essere per mio figlio un padre migliore di quello che lui è stato per me. Che poi non era difficile, nelle intenzioni, sarebbe bastato fare le cose al contrario di come aveva fatto lui.
Adesso mio figlio ha l'età in cui potrebbe avere un figlio a sua volta, e la domanda si rinnova: ma io son stato più buon padre verso di lui di quanto lui, quello che porta il suo stesso nome, lo è stato verso di me?
E' una bella domanda, inutile come la masturbazione che sottende, perché priva di risposta. Ciascuno dei tre partecipanti alla gara, lui, io e il nipote, potrebbe dare risposte completamente diverse.
Lui non risponde più e l'epoca in cui ha vissuto è lontana anni luce, anche se i ricordi più lontani sono quelli più impressi. Il nipote sembra sereno, o forse è solo ciò che mi auguro.
Io resto in mezzo, a baloccarmi con queste stronzate.
Vado a svegliarla. La mia oretta di svago non è finita, magari, con un po' di impegno in più...