1.
Quella sera Denise aveva un gran
mal di testa: l'acquazzone che l'aveva sorpresa in strada aveva anche
contribuito ma la causa era soprattutto la pancia, che le gridava di
non andare a quell'ultima udienza. Dio solo sa quanto le sarebbe
piaciuto potersi dare malata.
Decise di prendere la Novalgina
diluendola col Campari. Fu così che in dieci minuti la generosa dose
di bitter la aiutò a entrare nel sogno.
"Sto scendendo di buon passo
per via della Maddalena, perché voglio andare da M. E' strano che
non riesca a ricordarmi il suo nome completo. Sono serena e
fiduciosa, perché so che lui mi darà quella carta nautica che mi
serve, la stessa che immagino abbiano usato i marinai di Amalfi,
aiutandosi per navigare soltanto con le stelle del cielo. Il fatto è
che sento prepotente questo bisogno di partire, di tornare in mare
aperto, e di vedermi intorno solo acqua.
"Stai tranquilla, Denise",
risponde sorridendo alla mia richiesta, "Presto arriverà".
Esco felice, ma non esco del
tutto, perché una qualche parte di me rimane ancora in libreria, ad
aspettare. E infatti lui arriva: non so chi sia ma ha un'aria
familiare. Baffi e capelli brizzolati, un maglione color del vino. La
mia ombra resta a bocca aperta quando lo sente chiedere proprio la
carta dei marinai di Amalfi, e non meno stupita quando M. gli
risponde, con identico tono, "Stai tranquillo. Presto arriverà".
Io, fuori nel vicolo, appoggiata
alla facciata di fronte all'ingresso della libreria, sono preoccupata
del fatto che costui possa diventare un compagno di navigazione. Mi
guardo intorno e non riconosco più via della Maddalena. Non riesco a
muovermi però, la mia ombra è ancora dentro e non vuole uscire.
Entra adesso un giovane, e non
accompagna la porta, che sbatte rumorosamente. L'ombra lo scruta,
tranquilla di non essere vista. E' bello come Adone, e di questa sua
bellezza è fieramente consapevole. E gli occhi poi.... dello stesso
colore di quel mare che aspetto di attraversare.
Finalmente riesco a
ricongiungermi con la mia metà, e incomincio a correre giù, verso
la Darsena, infilandomi nei vicoletti che tagliano le lunghe
parallele, stretti passaggi in cui le facciate delle vecchie case
sembrano baciarsi. Voglio vedere il mare".
Denise si sveglia
improvvisamente, alle 3.50, sentendosi addosso l'odore aspro del
porto. La televisione è accesa e per qualche minuto prova a
seguirla, senza riuscirci.
Se non altro non ha più mal di
testa.
2.
Denise va a palazzo di giustizia
tutte le mattine con la metropolitana. Sale al capolinea
e la carrozza è deserta, per cui
può sedersi sempre allo stesso posto. Cerca di assumere
un'espressione che scoraggi ogni approccio ai viaggiatori che
saliranno.
Il processo l'ha preparato bene,
e le carte sono tutte nella vecchia borsa appoggiata per terra,
dietro le sue lunghe gambe.
Vorrebbe rilassarsi, perché ci
vogliono tre quarti d'ora per arrivare, ma stamattina non ci riesce:
il sogno della libreria le ha lasciato un po' di amaro in bocca e una
curiosità profonda. Stringe gli occhi per sforzarsi di riviverlo,
con quel desiderio di vagare per un mare senza orizzonte, lasciandosi
dietro il passato, per diventare anche lei goccia di un'acqua
primordiale.
Questo desiderio di un mare
materno la rituffa nel ricordo di quell'altro viaggio, il viaggio di
nozze. Posticipato perché Dario era stato male nei mesi del
matrimonio, e allora avevano deciso di farla l'anno dopo, la
crociera. Avevano viaggiato sul Meltemi, quel clipper inglese che
partiva dal porticciolo delle Grazie e arrivava fino a Istanbul. La
vacanza più lunga della sua vita, perché dopo non avrebbe mai più
potuto prendersi un mese e mezzo intero di ferie.
Una crociera per più aspetti
indimenticabile, specie per Dario, che aveva messo definitivamente
nel cassetto il suo desiderio di avere un figlio.
Lei ne aveva troppa paura. Ne
avrebbero potuto parlare anche per un anno di fila, non solo per sei
settimane, ma lei non avrebbe comunque cambiato idea, perché si
sentiva senza via d'uscita. E del resto non puoi fare dei
ragionamenti contro la paura, specie se sei tu stessa a sentirtela
addosso e a non renderti conto di dove venga. Non che lei, nelle
intenzioni, non volesse avere un figlio, anzi, in un certo senso le
sarebbe piaciuto. Ma ne aveva una paura paralizzante. Di morire, di
odiarlo, di partorirlo, di un figlio imperfetto, di non essere capace
a crescerlo.
Potremmo dire che aveva una paura
simile a quella di un bambino che non vuole buttarsi in braccio alla
mamma, perché teme che all'ultimo momento lei si ritiri, e lo faccia
morire cadendo.
In quella cabina di legno con
l'alcova i loro rapporti divennero sempre più svogliati, e al
ritorno a casa cessarono del tutto.
Quando fu il momento Denise capì
subito che Dario si era infilato in altrui lenzuola: glielo lesse
negli occhi la sera che lui tornò a casa con dieci minuti di
anticipo.
E così andò avanti per più di
dieci anni, matrimonio di facciata, in cui l'unica cosa a resistere
fu una malinconica tenerezza.
3.
Sono seduta al banco degli
avvocati, già con la toga distrattamente posata sulle spalle. Sogni
e ricordi son riusciti a farmi scendere l'umore sotto i tacchi.
Quelli da 12, naturalmente, che per un vezzo uso in tribunale. Non
solo le parole portano i giudici dove tu vuoi che vadano, anche due
calze nere velate. E due ciglia ben truccate.
Eccolo, il mio cliente, è
arrivato, in catene. Gli manca soltanto una corona di spine e
l'aspetto è quello di una certa iconografia sacra di quando, da
piccoline, ci trascinavano in chiesa, ficcandoci fra le mani colorati
santini. Ricordo ancora i nove venerdì del sacro cuore, e i cinque
sabati della madonna. Chissà quante indulgenze avrò lucrato, anche
se nulla rispetto ai miei peccati. Ma vivendo me ne sono fatta anche
una ragione.
Girando oziosamente fra questi
pensieri ascolto l'interrogatorio del pm, e le successive richieste
di chiarimenti da parte del presidente. Sento, ma non capisco nulla.
Questo fior di birbone, recidivo fra l'altro, meriterebbe la
flagellazione, se la giustizia esistesse. E invece risponde
chiaramente, a tono, con linguaggio preciso e forbito. Deve anche
avere studiato, questo pezzo di merda.
E' il mio momento. Mi alza e
incomincio l'arringa, che ascolto come se la pronunciasse un'altra da
me. Parlo lentamente. Elenco tutti i motivi per cui l'accusa contro
il mio cliente è giuridicamente insostenibile. Alzo anche il tono
della voce, quando è il momento di farlo. Anche le pause ho
studiato. Per essere brava, del resto, sono molto brava.
Mezz'ora di camera di consiglio è
stata più che sufficiente. Assoluzione. Ho vinto. Mi alzo per
andarmene e gli faccio un cenno come dire "Ti aspetto. Portami i
soldi".
Esco, fra i complimenti dei
colleghi e con grande voglia di vomitare.
4.
Denise entra in libreria, con
l'aria di chi sta cercando un qualche libro in uno scaffale ben
preciso. Anselmo è seduto alla sua scrivania, che è un vecchio
ceppo da macelleria riadattato all'uso. Alza appena la testa e ha
l'impressione che la sua cliente sappia dove andare. Ritorna quindi
al libro che ha fra le mani. Non sarà un gran libro, certo, ma gli
serve per passare i pomeriggi.
"Scusami, hai per caso una
vecchia carta dell'arcipelago delle Ponziane? Ne sto cercando una in
particolare, dell'Istituto Idrografico della Regia Marina, del 1790".
Anselmo trasecola per l'insolita
richiesta. Poggia il libro, si leva il pince-nez e si liscia il
pizzetto con gesto che vorrebbe essere di riflessione. "Mi
spiace, signora, ho qualche carta nautica ma non così vecchia: Le ha
detto qualcuno che avrebbe potuto trovarla qua?". Intanto la
guarda: è sicuramente un avvocato uscito dal palazzo di giustizia,
ha un'elegante cartella portadocumenti di pelle nera, la cui
sgualcitura rivela grande morbidezza. Che bella donna!
Denise è ancora sconvolta.
"Posso sedermi un attimo? Una mattinata difficile....".
"Prego, si sieda qui sulla panca, vicina a me. Posso offrirle un
caffè? Sa, qui dentro c'è poco più della moka". "Vada
per il caffè". "Ah, grazie, mi scusi". "Non si
preoccupi".
Anselmo si alza con difficoltà e
si ritira in uno sgabuzzino che, nei momenti di entusiasmo, chiama
"cucina", ma è solo un buco. Torna dopo tre minuti con la
vecchia moka da una tazza, e due tazzine ereditate forse da nonna
Speranza.
"Allora? Cosa ha avuto
questa mattinata di così terribile?". Denise sorseggia il caffè
con troppo zucchero, ma le fa piacere. Sente che di questo
sconosciuto, dall'età non immediatamente definibile, si può fidare.
"Ho
appena vinto una causa". Lui tace, con gli occhi fissi sul fondo
della tazzina. "Una causa che con tutto il cuore avrei voluto
perdere. Ma l'ho vinta".
"Questa
bravura non sono riuscita a trasferirla nella vita. Mio marito da
tanti anni ha un'altra casa, un'altra donna e un figlio che io non ho
voluto donargli. E adesso sono rimasta sola, perché alla fine lui ha
scelto di vivere con loro. Riempirò le mie giornate di pianto e di
insulsi clienti, utili solo per il loro portafogli". Denise si
soffia il naso con un fazzoletto rosso, di una tonalità identica al
suo rossetto.
Anselmo
ascolta, e un velo bagnato gli circonda gli occhi. Gli fa tenerezza
questo scricciolo che si mette a nudo davanti a uno sconosciuto,
tanta è la pressione che deve sopportare. Aspetta qualche minuto.
Vorrebbe abbracciarla, invece le parla senza guardarla. "Avvocato,
sta navigando in un tratto di mare particolarmente tempestoso. Tenga
stretto il timone e non lo lasci in balia del vento. La bufera
finirà. Non rinunci a condurre la sua vita. Provi a pensare che fare
l'avvocato può anche essere un modo per aiutare gli umani. Vedrà
che giorno dopo giorno il colore del mattino cambierà".
Anselmo
si alza e va verso il suo vecchio giradischi. Ha trovato un disco e
lo mette su.
".......Vedrai,
vedrai,
vedrai
che cambierà
forse
non sarà domani
ma
un un bel giorno cambierà.
Vedrai,
vedrai,
non
sei finita sai
non
so dirti come e quando
ma
vedrai che cambierà......".
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