Tre anni sono stati lunghi, e
anche se la East Coast è bella, sono contento di andarmene. Non è stato facile
partecipare a questo Master ma ci sono riuscito. E posso ringraziare soltanto
me stesso, e l’impegno che ci ho messo per ottenerlo. Anche se Annabella, il
mio amore, è venuta abbastanza spesso la solitudine si è fatta sentire, e i
colleghi sono rimasti solo colleghi, e non hanno voluto, o forse potuto,
diventare amici. Per fortuna la mia casa era accogliente, e il lavorare tutte
le sere è diventato quasi un divertimento.
Sono qui, seduto in sala
d’aspetto, il mio volo parte tra un’ora, e leggo con scarso interesse l’ultimo
articolo che mi sono stampato. Mi batte un po’ il cuore.
E. non stava più nella pelle.
Erano tre anni che non vedeva suo figlio e questa assenza gli aveva dato
addosso terribilmente. Nonostante fosse un vecchio medico sostanzialmente sano,
ancorché troppo grasso, questa assenza gli aveva causato tutte le malattie più
strane ed era diventato lo spauracchio dei suoi colleghi più giovani, che lo
ricevevano ormai solo per un motivo di correttezza professionale, perché dopo
le prime due visite non era neanche più tanto divertente, con quella sua
fissazione della cucina. Era solo un vecchio un po’ bizzarro, il perfetto
paziente psicosomatico. Lui aveva provato all’inizio a curarsi da sé ma, non
avendo mai fatto il clinico, faceva dei disastri terribili, ed era anche
riuscito a collassarsi, una sera d’estate, prima di cena. La moglie, disperata,
gli aveva proibito di prescriversi qualsiasi medicina e gli aveva nascosto il
ricettario. Da quando il “ragazzo” era andato via quell’uomo era diventato una
belva in gabbia.
Hanno annunciato un’altra ora di
ritardo. Cerco di farmene una ragione ma sono seccato. Papà non sarà contento,
e infatti non glielo mando, il messaggino. Vivendo tre anni negli States ho
capito che, almeno riguardo ai ritardi, i voli americani sono come i treni
italiani.
Papà mi ha insegnato a non
mangiare certe schifezze: piuttosto, mi ha sempre detto, comprati un pezzo di
pane e un po’ di affettato. E soprattutto tanta frutta. Ma non conosceva il
pane che vendono negli aeroporti californiani. Mi consolo con la frutta. Riapro
il mio bagaglio a mano per dare ancora un’occhiata al diploma: non ho avuto il
coraggio di metterlo nella valigia, non riuscirei a tollerare che vada perduto.
E’ proprio un bel diploma, e dietro, anche se non c’è scritto niente, leggo la
storia di questi tre anni.
Chissà se questo pane è buono con
le pere?
E. ogni dieci minuti guardava
l’orologio, come se potesse, con la forza solo dello sguardo, accelerarne il
moto. E invece sembrava fermo, più fermo del solito. Gli orologi erano un’altra
delle sue manie. Si ostinava a usare soltanto orologi che necessitavano di
essere caricati, alla sera, orologi con certe caratteristiche particolari che
solo lui capiva, come il quadrante obbligatoriamente nero e l’assenza del
datario. Nulla di male in tutto ciò ma la sera si dimenticava, con identica
maniacale regolarità, di dargli la corda. E spesso durante la giornata perdeva
completamente la nozione del tempo, e arrivava agli appuntamenti con gli amici
magari con due ore di ritardo, ammesso che si ricordasse il posto. Gli amici
c’erano abituati, erano più le volte che non lo vedevano o per questo motivo o
perché lui, all’ultimo momento, decideva di non andarci più, che poi a
quell’aperitivo si sarebbe sentito comunque fuori posto, e si sarebbe annoiato.
Adesso che non lavorava aveva più tempo libero, col risultato che si abbruttiva
più del solito in attività prive di qualsiasi interesse.
Finalmente
sono salito. Che splendore quella hostess! Meno male che Annabella non è qui con me sennò chissà che musi. Sarebbe
capace di non parlarmi per tutto il viaggio, che oltretutto è di parecchie ore.
Mi ricordo bene la prima volta che venne trovarmi, dopo tre mesi di campus. La
prima sera l’ho portata a mangiare, per andare sul sicuro, da Luca, un
ristorante italiano appena fuori del muro di cinta. Sapevo che sul mangiare è
difficile e non volevo rovinarci la serata. Ho ancore in bocca il sapore di
quei bucatini all’amatriciana, sarebbero piaciuti anche a Papà. Una bella
serata, soprattutto per il dopocena. Peccato che sia stata solo una settimana
ma forse è stato meglio così. Ho potuto concentrarmi meglio sulle mie colture.
E’
difficile la ricerca scientifica, ma non saprei fare altro. Devi fare un
investimento a lunghissimo termine e darci dentro giorno dopo giorno, o, come
dicono qui, day by day, ed essere pronto a superare ogni delusione, e a
metabolizzare ogni momento di sconforto, avendo in anticipo la certezza che
saranno numerosi. L’unica cosa che conta è pubblicare, pubblicare e ancora
pubblicare.
Mi
piace studiare ma ci sono stati parecchi momenti in cui mi sono sentito come
Charlot in Tempi Moderni, uno stupido ingranaggio e basta. Ma è passata.
“Allora, andiamo?”. Il tono
della voce di E. non era per niente educato ma la moglie fece finta di niente:
non poteva spaccargli una sedia sulla testa come sarebbe stato il suo primo
impulso, e forse non sarebbe neanche riuscita a sollevarla. “Ricordati che
dobbiamo passare a prendere Annabella”, la continuò a rampognare lui con lo
stesso tono. “Certo, ma l’aereo atterrerà fra tre ore, sempre che non abbia
ritardo. Perché mi vuoi far perdere il tempo in questa maniera?”. “Non sappiamo
quanto traffico incontreremo, poi Annabella potrebbe farci aspettare sotto
casa”. “Non è mai successo, è ben vero il contrario: non ti ricordi quando
l’hai fatta aspettare mezzora? E’ proprio una brava ragazza, perché quella volta
avresti meritato di essere mandato a quel paese, tu e i tuoi orologi. Realizza
una buona volta che sei solo un vecchio rompipalle”.
Non le rispose: del resto non
capiva, non ce la faceva a capire.
Sono
finalmente sopra la mia città, sto atterrando. Vedo non solo il profilo ma
riesco a anche a riconoscere qualche quartiere, financo alcune case, case che
in qualche modo nella mia vita sono state importanti. L’emozione che non ho
provato quando sono partito si compensa tutta adesso, e so che non riuscirei a
parlare. Gli occhi incominciano a riempirsi di lacrime, e ognuna porta con se
un piccolo ricordo. Mi rivedo bambino, il primo giorno di asilo: la paura era
tanta e quel distacco, anche se mi era stato promesso breve, mi aveva comunque
preoccupato. Ora sono cresciuto: riuscirò fra poco a dire qualcosa e a non
piangermi addosso? Ho proprio paura di no. Del resto Papà dice sempre: C’aggi’
‘a fa’? Non posso mica ammazzarmi. Neanche io: piangerò.
E’ atterrato finalmente, questo
cazzone di aereo.
Non so come faccia a fare tanti
viaggi in aereo, io non ce l’ho mai fatta. Ancora pochi minuti e lo vedrò, più
vecchio di tre anni e con quel papiro in mano che tanto lo ha fatto sudare, e
tanto me lo ha fatto mancare.
Queste due donne a fianco a me
continuano a parlare, beate loro. Io non riesco a spiccicare una parola. Certo
sono felice per lui ma soprattutto sono stracontento per me: sono un vecchio
egoista, mettetemelo nel conto. Mi sento, in questa pancia smisurata, una
morsa, che mi fa dimenticare e mi fa scappare la voglia di tutti i pranzi e le
cene che ho preparato e mangiato. Mi paralizza: avrei dovuto prendermi qualcosa
ma quella strega mi ha messo tutto sottochiave.
Eccolo, lo vedo da lontano con
la sua valigetta a mano: certo avrà dentro il diploma. Deve solo passare il
controllo dei passaporti.
Incomincia a fischiarmi
un’orecchio, mi si annebbia la vista e mi girano i muri tutt’intorno, non
capisco: starò mica morendo?
Papà è riuscito a svenire come
una collegiale dell’800. Da lontano l’ho visto che si accasciava come un sacco
vuoto e ho fatto un cenno a Mamma e ad Annabella, che non se ne erano neanche
accorte. Con l’aiuto del personale del terminal l’hanno disteso sulle
poltroncine e gli hanno alzato le gambe. Si è riavuto proprio nel momento che
gli sono arrivato a fianco e ha mormorato, in piena sintonia col personaggio,
“la solita figurina di merda….”.
scrivi bene Euge, grazie per condividere...Buona settimana..
RispondiEliminaGrazie a te che sei passata.....
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