Il Commissario Pelle non
sopportava quelle sveglie improvvise, quelle telefonate nel mezzo della notte
che gli ricordavano quella ricevuta dall’ospedale, quando suo padre era morto.
Per cui arrivò sul luogo
dell’omicidio incazzato e isterico. Farina, il suo assistente, caì al volo che
non era il caso di contrariarlo: il Dottor Pelle in fin dei conti era un buon
cristo e un apprezzabile superiore.
Era un ometto troppo grasso per essere alto soltanto un
metro e sessanta, con una vistosa pelata incorniciata, solo dal di dietro, da
una banda di capelli nerissimi e ricci spessa due dita, e con due baffoni a
cespuglio, corvini anche loro. Gli occhi, azzurri come il cielo, erano poco
verosimili, tanto che i suoi colleghi pensavano che Pelle si tingesse i baffi e
i (residui) capelli. Il suo problema era solo l’avvicinamento inesorabile del
giro vita all’altezza, che ne faceva sostanzialmente un cucciolo di leone
marino, un’otaria baffuta.
Incontrandolo per la strada non
poteva non indurre al sorriso. Del leone però aveva il carattere e il segno
zodiacale, e ben lo sapeva chi,per propria sfortuna, aveva dovuto subirne
l’interrogatorio, feroce. Pelle portava un vecchio basco comperato a Genova e
un cappotto grigio logoro e con il 50% dei bottoni, per cui a vederlo girare di
prima mattina non dava certo l’idea di essere uno dei più fini segugi della
Polizia di Ferrara. Sembrava piuttosto un barbone, accompagnata in caserma da
un agente in divisa, che invece era il suo assistente. Pelle sapeva benissimo qual’era
l’impressione che dava il suo aspetto, cionondimeno lo coltivava e in un certo
senso se ne gloriava. Era mancino e,
per sua fortuna, era sempre stato assecondato in questa sua differenza: lui
riteneva, non senza qualche ragione, che avere l’emisfero cerebrale destro
dominante lo potesse aiutare a capire quello che passava per la testa degli
umani, che poi era proprio il suo mestiere.
Si riteneva un bravo cuoco, e
quindi era del tutto rassegnato a quell’impressionante giro vita. Con suo hobby
allestiva cene per intimi amici, non meno di venti per volta, che si
trasformavano in saturnali.
Detto questo è ben facile
immaginare che anche lui lavorasse per la pagnotta, come tanti, e coltivava il
sogno di un ristorantino con venti sedie, non una di più.
Pelle voleva bene a Farina,
cionondimeno quando era incazzato anche Farina doveva starsene a distanza di
sicurezza, perché se no le grida si sentivano da un piano all’altro della
caserma.
Quella mattina era comunque di
umore pessimo, per la levataccia e per la digestione nulla delle trenta
acciughe ripiene della sera precedente; eppure si era bevuto una bottiglia di
Traminer, tutta, per digerire bene.
Entrò dentro la pizzeria,
abbagliato dalle luci accese. Sul fondo, vicino al bancone del pizzaiolo, era
disteso per terra a coprire il cadavere un lenzuolo, troppo piccolo, dal quale
spuntavano a un’estremità caviglie e piedi, nerissimi. Due belle caviglie e due
bei piedi, ancorché di taglia superiore
al 40, dentro scarpe nere senza tacco, non prive di una certa eleganza, notò
Pelle.
Si guardò intorno: una pizzeria
come tante altre, forse un po’ deprimente per il troppo neon. Qualche seggiola
per terra, lo spigolo del bancone del pizzaiolo sporcato di sangue.
Pelle prese un angolo del
lenzuolo e lo spostò il più delicatamente possibile, per scoprire completamente
il corpo. Il volto era tumefatto e coperto di sangue, un’orbita apparentemente
svuotata, alcuni denti rivolti all’indietro. La fisionomia della donna non era
più riconoscibile. Pelle ebbe un senso di sconforto, pensando alla ferocia che
si era accanita su quel volto, ferocia senza senso. Il resto del corpo, invece,
non presentava segni di violenza, almeno a un primo esame. Sembrava una donna
giovane, con un gran bel corpo, un bel seno e due bellissime gambe, vestita con
una divisa da lavoro che finiva ben al di sopra del ginocchio. Con la stessa
delicatezza Pelle rimise a posto il lenzuolo: rispettava i morti, chiunque
fossero stati, figuriamoci quella povera ragazza.
Si sentiva uno straccio. Fece chiamare
la scientifica.
Si allontanò di qualche metro e
si mise a sedere a un tavolo, per interrogare il patron della pizzeria, che
aveva trovato la ragazza. “Per favore mi porti subito qualcosa da bere” fu la
prima frase di Pelle. L’uomo, sorpreso, rispose però con grande prontezza
“Stravecchio?” “Perfect, ma porti la bottiglia”. L’uomo andò al bar, prese la bottiglia e un bicchiere e tornò a
sedersi. Pell esi era già acceso la sigaretta, incurante dell’assenza del portacenere
sul tavolo. L’uomo si rialzò e andò a prenderlo.
L’interrogatorio, ma non era un
interrogatorio, fu breve. L’uomo raccontò che la ragazza era un’emigrata dal
Rwanda, da molto in Italia e con i documenti in regola. Lui l’aveva assunta da
pochi mesi e le aveva dato in affitto il bilocale sopra la pizzeria, scalandolo
dallo stipendio, s’intende. La ragazza era cameriera e donna delle pulizie, e
questo spiegava la sua presenza nel locale alle sei del mattino. I pasti li
consumava lì in pizzeria. Giorno di libertà: il mercoldì, giorno di chiusura
della pizzeria. Lamentele: nessuna. Cosa facesse il mercoldì a lui non era dato
di saperlo. Uomini: mai visti.
Pelle lo interruppe chiedendogli
se fosse sposato “certo, con tre figli di 5, 4 e 3 anni”, rispose con malcelato
orgoglio. Pelle avrebbe anche voluto chiedergli se aveva la televisione in casa
ma era sicuro che non sarebbe stato capito.
Quello che gli interessava vedere
l’aveva visto e quello che voleva sapere l’aveva saputo. Era già sicuro che
quello era un delitto commesso da uomo o donna che dieci minuti prima di farlo
non ci pensava nemmeno. Ci doveva essere stata una scintilla.
Gli chiese infine, spegnendo col
pollice la terza sigaretta, chi fossero gli avventori della sera precedente.
L’uomo ricordava una comitiva di una ventina di ragazzi, una terza media a
occhio e croce, arrivati presto e andati via presto. Poi, sul tardi l’uomo
ricordava una coppia di adulti, ben vestiti, forse usciti dal teatro. Lei era
molto bella, rossa di capelli. L’uomo
ricordava bene che, entrati entrambi di buon umore e sorridenti, uscirono
immusoniti, forse perché l’uomo aveva rivolto un complimento di troppo ad
Aisha. Di tutto ciò Pelle prese nota diligente.
Erano arrivate le 9. “Farina! Andiamo a fare colazione!” gridò Pelle, alzandosi e infilandosi il cappotto. Il primo caffè del mattino lo pagava sempre lui.
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