Era
parecchio che non ci andava. Ettore si era tenuto quel piccolo
desiderio per troppo tempo.
Un
giro al Luna Park. Solo un semplice giro al Luna Park. A Pescara non
era come a Roma, dove il Luna Park dell'EUR è permanente. A Pescara
viene una volta all'anno, da inizio dicembre a più o meno metà
gennaio.
Ogni
anno si riprometteva di tornarci e ogni anno, quasi sempre per ottimi
motivi, certo, si ritrovava al 10 gennaio sapendo che il Luna Park
non avrebbe finito la settimana. E gli restava un discreto amaro in
bocca. Sapore dell'infanzia, ma mica solo dell'infanzia.
Ricordava
bene le numerose volte che c'era andato con papà. Solo un po' più
grandicello si era accorto che anche a papà piaceva salire sulle
attrazioni o parteciparvi, e che lo faceva non soltanto per
accompagnarlo.
E
mentre da piccolino quella presenza a fianco era lo sprone ad
impegnarsi allo spasimo, ad esempio nel tiro all'orso con il fucile –
orso che più che altro muggiva – pochi anni dopo l'averlo vicino
lo riempiva di orgoglio.
Non
ci sarebbero voluti tanti anni che quella presenza sarebbe diventata
fastidiosa, sostituita, ma solo per l'adolescenza, dagli amici.
Ricordava Ettore, molto distintamente, anche quel biglietto da 10,
abilmente sfilato dal portafogli di papà, per pagarsi il Luna Park,
andandoci quando e con chi avrebbe voluto lui. Aveva quindici stupidi
anni.
Intanto
la ruota girava del tutto inesorabilmente ed Ettore si era ritrovato
in un batter d'occhi con i suoi, di figli,
a recitare la stessa parte, per
la quale si sentiva del tutto inadeguato. Motivo per cui, anche se non poteva sapere cosa avrebbero pensato i bambini, si adattò a
farla, nello stesso modo in cui immaginava
l'avesse recitata papà.
E
il tiro all'orso mugghiante continuava a essere lì, gettonato
specialmente da Robertino, che voleva continuamente gareggiare con
lui. Lo metteva in piedi sul bancone e lo aiutava a sostenere il
fucile, più lungo di lui. La bambina preferiva tirare le palline
nella vaschetta dei pesciolini rossi, e non riuscendo a centrare il
piccolo buco, si finiva inevitabilmente,
per
non farla lacrimare,
col
pesciolino rosso in mano, acquistato, non vinto, che mai era durato
fino a Carnevale, anche quando la Pasqua era bassa.
Queste
cose pensava Ettore dentro di sé.
E
poi gli anni erano passati, i bambini cresciuti.
A
lui era rimasta questa specie di voglia, di divertirsi in maniera
spensierata al Luna Park, o almeno di far finta di divertirsi, ma se
non altro farlo bene.
Il
problema è che non puoi essere spensierato se i pensieri ce l'hai,
specie se sono svariati. E fra l'altro non puoi farti un giro al Luna
Park e andare sull'autoscontro da solo, non puoi scontrare i ragazzi.
Nella migliore delle ipotesi ti prendono per un vecchio rimbecillito,
nella peggiore per un maniaco. E non hai nessun bisogno di fare
quattro chiacchiere in questura.
Nello
stradone che porta al Luna Park, dopo una cert'ora, c'è la
possibilità di avere compagnia a pagamento. Il sabato sera, anche
dopo quell'ora, le attrazioni continuano a funzionare.
Irina,
si chiama la ragazza. Con la minigonna anche la settimana prima di
Natale. Mi fa malinconia e basta. Non suscita ancora altre reazioni.
Concordiamo un compenso orario, ora in cui lei farà tutto quello che
voglio io. Tre ore possono essere un buon inizio, per non stare solo.
Dopo avere ricevuto il permesso del cosiddetto fidanzato torna da me
e me la prendo sottobraccio. Avremo dieci minuti di cammino, dieci
minuti per conoscerci.
E'
rumena. Cerco di farla un po' raccontare, mi piace ascoltare i
racconti. Ma ha una certa difficoltà con la lingua, no, non in quel
senso lì. Con la lingua italiana.
Con l'intenzione maligna di farla spaventare la prima giostra che le propongo
è l'otto volante, giro che lei sostiene con grande naturalezza,
anzi, ne vorrebbe un secondo. E' per me che sarebbe troppo.
Entriamo
allora in quella attrazione dove c'è un percorso da fare al buio, a
piedi, con improvvise luci e rumori, e fili pendenti dal soffitto, e
scheletri che compaiono all'improvviso, e spifferi gelidi. Dammi la
mano Irina, e gliela prendo. Tutto devi fare, tutto quello che
voglio. Si diverte la ragazza, forse non ha neanche vent'anni. E più
lei si diverte e più io mi immusonisco, perché non riesco a
divertirmi come vorrei.
Provo
a trascinarla dal sempiterno tiro all'orso, forse è davvero lo
stesso padrone di quando ero bambino. E sfoggio la mia abilità. 20
su 20, e poi 40 su 40. Grande Ettore. Batte le mani e ride divertita,
mi dà persino un bacino sulla punta del naso. Sbaglio, e so il
perché, ma le chiedo di provare anche lei. E la aiuto a sostenere il
fucile, come facevo con Robertino, cosicché la posso abbracciare. Ma non ne azzecca uno. Ci
viene regalato il mitico peluche, visti i denari spesi.
Irina,
lo vorresti un krapfen? Quei bei krapfen il cui olio di frittura
viene gelosamente tramandato da un anno all'altro? Perché no? Tre
morsi, dicansi tre. La ragazza ha appetito, del resto le cosce non
sono propriamente magre.
La
imbarco infine in quella giostra costituita da piccole carrozze che
girano in tondo, Avalanche express mi pare che si chiami, e durante il giro a un certo
punto le vetture vengono ricoperte da un tendone che porta il buio.
Tipica giostra da innamorati, è per questo che ci sono voluto
salire.
Si
diverte come una pazza, e la forza centrifuga me la spinge addosso.
Approfitto del buio e le do un bacio, su una bocca in cui il sapore
del krapfen e il profumo del rossetto di bassa qualità si mescolano.
Tutto posso fare, ricordatelo. Mi restituisce il bacio con grande
impegno. E' tenera Irina.
E'
passata un'ora, la voglia di Luna Park me la sono levata. La riporto
dal fidanzato.
Ho
voglia di abbracciarla e lo faccio, stringendola con tutte le mie
forze.
Domani
è il mio ultimo giorno di lavoro.
Questo racconto mi ha incuriosito dalla prima riga, volevo capire cosa avrebbe fatto Ettore. É bello lo spazio che dai ai pensieri dei personaggi, li rende vivi.
RispondiEliminaMi piace! Annalisa