"Ho
programmato una settimana di ferie per andare in montagna con gli
amici. Come al solito mia moglie l'ha presa malissimo e, insieme a
mia suocera, mi hanno insolentito in lungo e in largo. A nulla è
valsa la giustificazione che la spesa è irrisoria e il periodo, la
terza settimana di novembre, è per lei lavorativo. E nulla
significa anche il fatto che davvero vado in vacanza con gli amici
per scarpinare sulla neve con un paio di sci sulle spalle (gli
impianti di risalita per noi non esistono) e non in giro con qualche
bionda recuperata di straforo.
Abbiamo
noleggiato un vecchio Fiat 850T, nominalmente a sette posti, ma noi
ci adattiamo e due posti in più li recuperiamo. Certo, dobbiamo
viaggiare con lo zaino sulle gambe ma la fatica non ci fa paura.
Siamo tutti abbastanza magri.
Siamo
partiti alle 18 e viaggeremo tutta la notte. Evitiamo l'autostrada
come il fumo negli occhi, le strade statali sono più varie e
panoramiche. E gratuite.
Arriveremo
a Lachen, secondo le previsioni, domattina verso mezzogiorno.
La
notte passa tranquillamente, fra turni di guida e discorsi sul tempo.
Abbiamo abbastanza esperienza (son quasi vent'anni che andiamo a
camminare sui monti) e le previsione meteo avverse non ci preoccupano
più di tanto.
Non
ci fermeremo neanche per mangiare: ci siamo portati un pezzo di
spalla cotta che condividiamo insieme a quelle fette di pancarré
comperate al discount tedesco sotto casa di Lino. Ognuno ha la sua
borraccia. Quando troveremo adeguato spiazzo ci fermeremo per quei
bisogni che in macchina non si riescono proprio a fare. Specie se si
è in nove.
Arriviamo
a Lachen alle due del pomeriggio, un poco contrariati per il ritardo
portato dall'intenso traffico, non previsto. Dobbiamo cercare
Biberzeltenstrasse, la "strada dell'accampamento del castoro",
un nome in un certo senso profetico. E non è difficile arrivarci. Al
13 di questa strada, che non sai distinguere se di campagna o di
città, c'è una villetta che più "svizzera" di così non
si potrebbe, con il tetto che a due terzi del suo digradare
addolcisce la pendenza, e il prato recintato da un muretto di cemento
con finto disegno di mattoni, inferiormente, e, in alto, una griglia
che assomiglia alle strisce di pasta frolla sulla crostata. Quanto
tempo sarà che non ne mangio? Non so neanche se mia moglie sia mai
stata capace di farla. E di comperarla non se ne parla neanche.
Il
nostro ospite è un simpatico vecchietto, "svizzero" anche
lui, Herr Von Dänicken, dall'età poco definibile così come il
colore degli occhi, ridotti a una fessura che all'estremità laterale
si tripartisce. Non è poi così alto e una certa gibbosità dorsale
ce lo fa apparire ancor più basso. Ci fa entrare rapidamente perché
sembra che incominci a piovere.
La
tipica precisione svizzera si appalesa quando chiede di regolare
subito i conti: l'alloggio, come già concordato, ci costerà 90
franchi svizzeri per dieci giorni, praticamente un franco a testa al
giorno.
E
finalmente l'andiamo a vedere, questo alloggio: ci accompagna in
cantina con una candela tremolante. Apre, con grande fatica, una
pesante porta affiancata da due griglie quadrate per l'aerazione, che
dà accesso a un breve corridoio, sarà un metro di lunghezza, che
finisce con un'altra porta uguale.
Tito,
per la luce della candela, ha una faccia giallognola. Johnny
strabuzza gli occhi ancor prima di vedere cosa c'è dietro la porta.
Finalmente lo gnomo la spalanca e ci si para di fronte il suo rifugio
antiatomico, bunker se così lo vogliamo chiamare, elemento abitativo
di cui ogni casa "svizzera" deve essere dotata. Come noto
infatti in
Svizzera vi sono 300.000 rifugi in case, istituti ed ospedali, nonché
5.100 rifugi pubblici per un totale di 8,6 milioni di posti
"protetti" pari a un grado di copertura del 114%.
E' questo 14% in più che mi fa sorgere preoccupati dubbi sulla
sanità mentale della popolazione.
La
prima vista, che è del tutto definitiva, è quella di un "closed
space" con tre pareti occupate da tre letti a castello, ciascuno
con tre cuccette. Se ogni letto avesse un altezza di 60 cm vuol dire
che l'altezza totale non è superiore ai due metri. Al centro abbiamo
un tavolo col ripiano di formica rossa, come usavano anche in Italia,
negli anni '50. A fianco all'ingresso il luogo di decenza, che per
decenza non descrivo. Delle sedie ci spiega che non ne avremo alcun
bisogno, potendoci sedere sul bordo del letto. I sessanta centimetri
con la cuccia sovrastante ci obbligheranno a stare curvi o a sedere
sullo spigolo della cuccia. Davvero comodo, non c'è che dire.
C'è
un piccolo armadio con le provviste, chiuso da un lucchetto
"svizzero". Il cibo non è compreso nell'euro che paghiamo.
Però sarei curioso di sapere se c'è la cioccolata.....
Ci
viene spiegato che l'illuminazione si può ottenere girando una
manovella a ruota che non avevamo ancora visto perché nascosta in
una angolo, che ottiene energia elettrica per la lampadina. Ci
dimostra infatti che con un paio di girate ben date riusciamo a
ottenere che la lampadina si illumini, forse troppo fievolmente. Ho
calcolato per tre secondi. Le finestre non ci sono. Quadri appesi non
ci sono.
Ovviamente
non dovremo starci dentro parecchio, ma sul momento la sola idea di
passarci dieci notti mi fa venire in mente che quando sarà il
momento al cimitero ci arriveremo perfettamente preparati.
Usciamo
e andiamo in paese per programmare la gita di domani e per fare un
po' di spesa per la cena di stasera. Di comune accordo decidiamo di
mangiare fuori dal bunker, e di usarlo soltanto per dormirvi. Nessuno
di noi lo dice ma tutti pensiamo che sia un luogo non solo opprimente
ma profondamente tetro. Il budget che ci siamo imposti del resto non
ci permetteva di meglio.
All'ufficio
turistico parlano solo il tedesco e non dimostrano di avere grande
voglia di aiutarci nella programmazione dell'escursione. Solo Johnny
ha una qualche dimestichezza con questo idioma, o almeno così lui
dice. Chissà cosa avrà capito. Comunque sembra sicuro. Ha detto che
bisognerà partire alle 4 per arrivare in loco alle 9. Concordiamo
tutti pregustando la partenza: è sempre una bella sensazione.
La
cena la facciamo in una specie di giardino pubblico, con le lacrime
agli occhi, dopo essere stati pressoché rapinati in un supermercato,
perché qui gli hard discount tedeschi non ci sono proprio.....
Alle
otto della sera torniamo mestamente all'accampamento del castoro. Ci
dovremo stare poco meno di otto ore.
Abbiamo
stabilito che in tre quarti d'ora faremo tutte quelle cose che si
fanno prima di andare a dormire, per cui alla manovella ci saranno 9
turni da 5 minuti. E poi tutti a nanna. O almeno ci proveremo.
E
così tutto è andato come programmato. Ma qui dentro fa caldo.
La
sveglia suona alle tre e un quarto. Ricomincia il turno dei cinque
minuti di manovella. Alle quattro meno cinque siamo pronti per
uscire. Vogliosi di sgranchirci le gambe nel buio della notte che sta
facendo largo all'alba.
Tito
si avvicina alla porta per uscire. La maniglia non si muove. La ruota
con forza ma questa non cede. Allora, con un mezzo sorriso, posa lo
zaino che un poco lo ingombrava, e si applica con impegno. Nulla.
Sembra saldata. Gli otto che non girano la manovella della luce si
guardano con un finto sorriso. “Proviamo a fare leva con qualcosa”
propone Fabio. Ma che cosa? Usiamo la picozza. Antonio, il meno magro
fra di noi, si fa largo con la picozza in mano. “Datemi una leva e
vi solleverò il mondo” esclama con la certezza di chi ce la farà,
novello Archimede. Infatti ce la fa, e spezza la picozza in due
mozziconi ormai inutilizzabili. Lo smarrimento si fa strada negli
sguardi.
Mi
slaccio il colletto della camicia.
“Herr
Von Dänicken!!” mormora Fabio. Incomincia ad avere gli occhi fuori
dalla testa. Sono le quattro e un quarto. Siamo già in ritardo,
uffa.
Qualcuno
suggerisce di provare a cercare intorno alla porta, come se ci fosse
un qualche pulsante, un meccanismo che la possa sbloccare. E allora
perdiamo dieci minuti in cui ci avvicendiamo a esplorare i dintorni
della porta, e chi deve girare la manovella per illuminare lo fa con
un impegno prima non immaginabile. Niente. Niente di niente. I minuti
passano. Proviamo, con un coltellino “svizzero” anche a smontare
la griglia di aerazione (ma quale aerazione??) senza ovviamente
riuscirci. Gli elementi sono contro di noi.
Sono
le quattro e trentacinque.
Decidiamo
di fare un tentativo vocale d'insieme: “Herr Von Dänicken!!!!”
gridiamo in coro a squarciagola, più volte. Nessun eco, nessun
rimbombo.
Incomincio
a pensare che il bunker sia isolato non solo dalle radiazioni
atomiche ma anche dalle ben meno pericolose onde acustiche.
Johnny
è seduto nell'angolo e singhiozza.
Nessuno
di noi riesce a percepire il lato comico della situazione, chissà
come mai.....
Alle
cinque e un quarto, sprofondati nella paura e nel silenzio, sentiamo
un lieve scalpiccio.
“Herr
Von Dänicken! Herr Von Dänicken!!!!!!!!! Herr Von
Dänicken!!!!!!!!!!” gridiamo all'unisono, con la forza del cuore e
la voce arrochita dalla paura della tomba.
Sentiamo
armeggiare dietro la porta che lentamente si apre. Neanche quando
sono giunto in vetta all'Eiger, nella mia gioventù, sono stato così
felice. La stessa identica felicità che provò Gesù quando uscì
dal Sepolcro, immagino.
Tito
soffre di un prurito acuto delle mani, che vorrebbe rudemente
strofinare sulla barba del malefico gnomo. “Perché mi avete
chiamato? Cosa è successo?” “Non riuscivamo ad aprire la porta,
insomma che cazzo di posto è questo?” gli risponde Tito. “A me
risulta che funzioni benissimo”. “Bene, allora riproviamo, ma
questa volta lei sta dentro e noi tutti fuori”. “Certamente,
quale è il problema?”. Usciamo tutti, con il muto desiderio di
lasciarlo lì dentro a marcire per l'eternità. Forse in cinque
secondi la porta si apre e il mostro si appalesa in tutta la sua
cattiveria.
Borbotto
qualcosa per scusarci e lentamente usciamo. Sono le sette del mattino
e il cielo è plumbeo, un po' come il nostro umore. L'escursione è
sfumata.
Senza
dircelo ci dirigiamo verso quell'alberghetto che abbiamo visto
iersera".
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