Tornando
a casa Alberto rifletteva sui casi della sua vita. Lo faceva sempre,
anche se parlare di "riflessione" sarebbe stato improprio.
Mentre la riflessione è attività con una sua capacità, tendenza
almeno, sistematica, Alberto esperiva soltanto la presenza di un
tumulto di folla assiepato dentro la sua mente, forse solo dentro il
cuore, da cui, improvvisamente, emergevano volti, suoni, ricordi, più
o meno ben strutturati. Gente che lo accompagnava sempre, talora
coinvolgendolo così disperatamente da distrarlo dalla guida o dal
cammino. Con evidenti rischi per la propria e altrui sicurezza.
Spesso
questi ricordi erano talmente vividi da allagargli improvvisamente
gli occhi, anche se a farlo piangere, come lui avrebbe desiderato,
non ci riuscivano mai. Un pianto a dirotto, a suo modo liberatorio.
Ma come fai, in mezzo alla strada o sul lavoro, ti hanno anche
spiegato che lo fanno solo le bambine... Un pianto che magari, giorno
dopo giorno, avrebbe potuto cancellare questi personaggi, invece che
risospingerli nella folla nebbiosa da cui sarebbero ricomparsi.
Quindi
Alberto, con gli occhi e il naso pieni, camminava fra una folla
esterna e una interna, assediato, se così vogliamo dire.
Che
ora sarà stata quando infilò la chiave nella toppa della porta di
casa? Forse le otto. Era arrivato per primo.
Teneva
sempre in frigo una bottiglia di champagne, quello che aveva
conosciuto in Francia negli anni della maturità. Quella sera decise
di aprirla e, forse, di bersela tutta. Non aveva grandi speranze che
le bollicine gli migliorassero l'umore ma pensava che fosse giusto
provarci. Cercò un bel calice. Sistemò la seggiola sul terrazzo e
si riempì il bicchiere. Seggiola senza braccioli, una bianca
seggiola da cucina, scrostata, bisognosa di un paio di mani di
riverniciatura. Scomoda, sostanzialmente.
Appoggiò
il gomito sulla ringhiera, bevve un piccolo sorso fresco e pungente e
provò a svuotarsi di tutte le cose della giornata. Ma quando mai!
Solo
a chiudere un attimo gli occhi gli saliva un magone incontrollabile.
La millesima cosa che pensò fu che un corso di yoga avrebbe potuto
sicuramente fare al caso suo.... del resto quella era la vita che si
era plasmato, giorno dopo giorno, piene di incertezze e scelte
sbagliate, errori se vogliamo usare questa parola: lo yoga non
avrebbe certo potuto cancellarla, non era il suo compito
istituzionale. E non è, badate bene, che Alberto non riuscisse ad
accettare questa vita, solo che c'erano momenti, giorni, in cui si
sentiva letteralmente affogare.
Abitava
in città, ovvio, ma al limitare della campagna. E a quell'ora della
sera il silenzio era ingentilito soltanto dalle lontane grida,
spaurite, di un neonato che allenava i polmoni nel mentre che
reclamava il seno.
Ecco,
il seno. Quello che più apprezzava nelle donne, quella che più gli
dava la sensazione, piacevolissima, di "avere" una donna.
Del resto quello che le donne hanno in mezzo alle gambe, fatte salve
rare varianti anatomiche, è desolatamente uguale per tutte. Il seno
per fortuna no. Il seno, per sua natura, partecipa di due esperienze
della vita, anche se non nello stesso momento. E' la fantasia che le
riavvicina.
"Ciao
Alberto!". La rondinella si era posata con dolcezza sulla
ringhiera, improvvisamente, e lui, come sempre dietro ai suoi
fantasmi, ebbe un piccolo sussulto. "Ciao Bella, comment ça
va?". La rondinella lo guardava negli occhi, che esprimevano il
desiderio che almeno lei rispondesse "Très bien!". "Bene,
vecchio mio, bene. E' bella questa primavera. Ho appena finito di
farmi il nido".
Alberto
pensò alla sua casa, che sua non era. Sapeva che da un momento
all'altro avrebbe potuto non abitarvi più. Non se ne crucciava
granché, anche se comunque era motivo di ansia...
"Rondinella,
se stasera mi racconti qualcosa di bello mi farai felice". Lei
lo guardava, anche essa con gli occhi lucidi, e ad Alberto sembrava
che quegli occhietti esprimessero grande tristezza. Ci volle più di
un quarto d'ora prima che lei parlasse. Forse ad Alberto sarebbe
bastato, ma questo non possiamo saperlo, che lei spiccasse il volo,
con un garrito gioioso nel suono e ignoto nel contenuto. Sarebbe
bastato almeno a risvegliargli un sorriso. E invece no.
"Ma
tu pensi davvero, piccolo uomo sciocco, che la felicità ti possa
venire da fuori? Che cosa ti dovrei raccontare? O forse che cosa ti
dovrei cancellare? Pensi che abbia questo potere? Ogni giorno della
tua vita hai messo un mattone, diritto o storto che fosse, e adesso
la costruzione è ormai fatta. Certo, traballa. Non vorrei sembrarti
brutale, non si addice a una rondinella, ma a questo punto sono tutti
cazzi tuoi.....".
Alberto
credette di leggere in quel becco un filo di scherno. "Ritornava
una rondine al tetto. L'uccisero, cadde tra spini......Brutta troia,
troverai anche tu una fionda maligna".
"Non
ti preoccupare rondinella, se sono arrivato fin qui sarò ben in
grado di proseguire".
Non
voleva darle quella soddisfazione, di dirle che era meno furbo di una
rondine qualsiasi. Era certo che proseguire sarebbe stato sempre più
faticoso.
La
rondine spiccò il volo. Anche lui si alzò dalla sedia, con il
desiderio, l'idea, la paura, di fare un piccolo salto.
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