Clara
si era seduta forse per la quarta volta: prima il telefono, poi il
portiere, infine la sua amica del cuore che era passata a salutarla.
Si erano tutti coalizzati nell'impedirle di fare l'unica cosa che
quella mattina avrebbe voluto fare, anzi, che sentiva di dover fare.
Si
promise che non avrebbe dato risposta più a nessuno e si sedette,
finalmente tranquilla anche se col cuore in tumulto. Tirò fuori dal
cassetto il blocco della carta intestata e incominciò a scrivere.
Dopo tre righe strappò il foglio e incominciò a ridurlo in
piccolissimi frammenti, tali da non poter mai essere ricostruiti.
Si
fermò un attimo a riflettere, con la testa appoggiata sulle mani.
Cosa sapeva in fin dei conti di quell'uomo? Poco davvero, molto meno
di quello che, da quando si erano conosciuti, si sarebbe
ragionevolmente aspettata di sapere.
E
adesso aveva deciso di scrivergli. Un biglietto, due righe, una
lettera d'amore, comunque qualcosa di scritto, di duraturo quindi,
che era niente di più di una dichiarazione di resa incondizionata a
quel qualcuno che le aveva cambiato la vita.
Ancor'oggi,
dopo tre mesi, non sarebbe stata capace di dire che cosa era stata a
farla impazzire dal desiderio, non l'aspetto, ovviamente, e neanche
quel suo atteggiamento, un misto fra non curante e arrogante, ma ben
miscelato. Quando lui parlava qualunque cosa dicesse, fosse anche la
lettura ad alta voce dell'elenco del telefono, a lei si inceppava il
flusso dei pensieri. E Giorgio non ci impiegò più di due
appuntamenti per capirlo, approfittandosene nella maniera più
naturale. Parlava poco, il bel Giorgio, ma una sua carezza valeva
quanto un discorso. Clara gli si diede con passione irrefrenabile.
E
adesso si trovava seduta alla sua scrivania, libera e tranquilla,
cercando di raccogliere i pensieri e di scriverglieli.
Panico
del foglio bianco.
"Caro
amore...", e il foglio fece la medesima fine del suo
predecessore. Amore era una parola che in quel mese non era mai stata
pronunciata da entrambi, sarebbe suonata come i tasti di un
pianoforte non suonato da tanti anni, perlomeno stantia.
Provò
a versarsi da bere, a mezzogiorno l'aperitivo ci può stare. Tre dita
di Bourbon whiskey, senza ghiaccio e tutto di un fiato. Glielo tolse
il fiato, appunto. Nel risedersi alla scrivania per un attimo vide
due fogli bianchi. ma ricominciò fiduciosa.
"Giorgio",
virgola e accapo. La parola restò sola sul foglio per alcuni minuti.
"Ma poi, perché voglio scrivergli? Cosa ci sarà mai da dirgli
che non posso dirgli a voce?" Così pensando si tormentava la
pellicina dell'unghia dell'indice, e non fu soddisfatta finché un
bruciore intenso le segnalò l'uscita del sangue.
Quell'uomo
non parlava, e lei avrebbe voluto rovistargli nel cuore. Mai le era
successo di desiderare di portarselo via, e di passare il resto della
vita accoccolata fra le sue braccia. Ovviamente lontano da tutto e da
tutti. Non è che si sentisse innamorata, almeno non come lo era
stata nel passato (o forse semplicemente non ricordava bene),
lo voleva e basta. Ma non si può volere un'altra persona solo per sé
senza che questa sia d'accordo, o perlomeno che sia a conoscenza di
questa nuova intenzione della tua vita.
"Giorgio,
c'è
voluto meno di un mese per aprirmi gli occhi. Averti conosciuto ha
cambiato tutte le prospettive della mia esistenza. Non credo di poter
più fare a meno di te, non voglio. Se anche per te è così, così
come io sento che sia (e qui Clara capì di essersi scoperta troppo)
vediamoci domattina per colazione, al nostro bar. Lasciamoci dietro
tutto. Corriamo incontro alla felicità".
Firmò
"Clara" facendo un ghirigoro con lo svolazzo, che non aveva
mai usato, e che strideva con la sua grafia regolare, minuta,
ordinata, usata per il resto della lettera. Giorgio avrebbe dovuto
capire che l'aveva fatta impazzire.
Posò
la stilografica e rilesse, intanto che l'inchiostro asciugava. Piegò
il biglietto in due e lo imbustò. Leccò la parte gommata della
busta ela chiuse. Le scappò di baciarla, del resto era sola.
Aveva
procurato di restare in casa sola, quella mattina, per cui quando
squillò il campanello dovette alzarsi per andare ad aprire,
bestemmiando fra i denti. Era il postino, con un pacco di libri
contrassegno che aveva ordinato suo marito: dovette andare a prendere
il denaro in cassaforte, non poco. Si fece posare il pacco sul
pavimento e intanto se lo rimirava. Bel ragazzo, non c'è che dire.
Fare l'amore con uno sconosciuto, ancorché piuttosto pericoloso, e
perché non il postino, era una delle sue fantasie più ardite. Gli
mise in mano, con fare indifferente, una banconota da venti, solo per
vedere i suoi occhi illuminarsi. Cosa che puntualmente avvenne, col
giovinotto che usciva camminando all'indietro e profondendosi in
inchini.
Tornò
alla scrivania, dove aveva lasciato il cuore.
Possiamo
facilmente immaginare il suo disappunto nel non vedere la busta sulla
scrivania, dove l'aveva posata tre minuti prima. Il cuore incominciò
ad accelerare fino a farsi sentire , subito sopra lo sterno, con
colpi sordi e vigorosi. Con il braccio spazzò via tutte le cose che
erano sulla scrivania, e il portapenne di cristallo cadendo per terra
si ruppe.
Càlmati
Clara, sei sola in casa, salterà fuori.
Clara
non aveva mai sopportato il fatto di non essere in grado di capire
quello che stava succedendo, come adesso. A suo tempo aveva letto, e
meditato, i libri del dott. Freud, e sapeva di avere riposto il
biglietto da qualche parte senza rendersene conto. Ma dove? Suo
marito sarebbe tornato in serata, quindi aveva, teoricamente, tutto
il tempo per trovarlo.
Incominciò
sistematicamente a svuotare tutti i cassetti della scrivania, cosa
che non faceva da tempo. Quanta roba avrebbe dovuto buttare via! Cose
che un tempo dovevano essere state un ricordo a rivederle adesso non
le dicevano niente, e la tristezza di questa costatazione la indusse
a cestinare tutto, con astio.
Comunque
niente.
Ispezionò
tutti i ripiani della libreria per vedere se avesse posato la busta
davanti a qualche libro. Anche lì niente.
Incominciò
a pensare a suo marito con quel biglietto in mano. Non era neanche un
biglietto ambiguo, non avrebbe potuto giustificarsi arrampicandosi
sugli specchi con frasi tipo "E' soltanto un gioco".
Sarebbe stato soltanto un insulto all'intelligenza di lui. Il fatto
che avrebbe potuto essere letto dai suoi figli per fortuna non le
venne neanche in mente, le avrebbe scatenato un attacco di panico,
mentre il quel momento aveva bisogno di tutta la lucidità possibile.
Pensò
di chiamare la domestica per farsi aiutare nella ricerca ma scartò
subito l'idea. Quella strega, non oca, avrebbe capito immediatamente
l'importanza del biglietto e non avrebbe esitato a metterselo in
tasca. Per poi sputtanarla, o peggio ricattarla. No, meglio fare da
sola.
Le
era venuto il mal di testa, lo stress, per cui si prese un'aspirina.
Si
sedette sulla poltrona e incominciò a riflettere: del resto era una
donna intelligente, avrebbe potuta farcela, ragionandoci sopra a
mente fredda. Ripercorse tutti i movimenti che aveva fatto dalla
squillo del campanello, maledetto lui e il postino. Niente.
Cercò
di guardarsi intorno con occhi "nuovi".
Niente.
Iniziò
a piangere con rumorosi singhiozzi, tanto era sola....
Si
sentiva spacciata.
Non
sappiamo per quanto tempo pianse, anche se il cielo si era oscurato e
la pendola nell'ingresso aveva suonato più volte. Alzandosi per
accendere la luce, e continuare la ricerca, diede inavvertitamente un
calcio al cestino delle cartacce, che rovesciò il suo contenuto per
terra.
Tornò
a sedersi, non piangeva più. Le cadde l'occhio sulle cartacce,
sparse per terra, quasi in fila. E lo vide. Un frammento di quella
busta giallina, e vicino gli altri tre. Verificò che dentro ciascuno
avesse il suo brandello di biglietto.
Diede
fuoco a tutto nel portacenere e in quel filo di fumo puzzolente si
sciolsero i suoi sogni.
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