Giuseppe
era uscito dal bungalow quasi di soppiatto, saranno state le sei. Nel
campeggio c'era silenzio, come era ovvio aspettarsi, ma era un
silenzio irritante. La sera prima aveva deciso che si sarebbe
svegliato presto per vedere l'alba ma, come sempre negli ultimi anni,
l'orologio dentro la testa aveva squillato di gran lunga prima di
quello sul comodino.
Era
stato ben attento a non svegliarla: avrebbe dovuto dirle perché
usciva così presto e non aveva nessuna voglia di parlare. Neanche
con sé stesso. Quei pochi movimenti che aveva fatto prima di uscire,
infilarsi una maglietta, bere un sorso d'acqua, erano stati fatti
senza la partecipazione della coscienza.
L'aria
del mattino gli trasmise un piccolo brivido piacevole e lui, ancor
una volta senza rendersene
conto, fece un sorriso. Ci voleva più di un'ora per aspettare il
sole, e la spiaggia distava non più di cinque minuti.
Arrivato
sul lungomare incominciò a camminare senza meta, o forse con il
desiderio non espresso
di un caffè, di vedere un volto, di sentire una voce. Ma era davvero
troppo presto. A poco a
poco gli ritornarono alla mente i discorsi della sera prima,
di tutte le sere di
quell'ultima settimana di vacanza, maledetta lei e il momento che
aveva deciso
di farla, la vacanza. Più di una volta aveva avuto la nettissima
sensazione che mantenere quella situazione sarebbe stato
insopportabile.
Ma
era solo il sentimento di un attimo, intensissimo, certo, ma, a
motivo delle sua istantaneità, presto metabolizzato e ricacciato in
fondo, assieme a tutto il resto.
Si
rosicchiava nervosamente le unghie, procurandosi solo dolore.
Rare
biciclette percorrevano la pista a fianco del lungomare, guidate
lentamente da persone altrettanto assorte. Il silenzio e l'oscurità,
appena sbiadita verso l'orizzonte, avvolgevano tutto, e anche l'aria
che respirava gli sembrava pesante.
Accese
una sigaretta, l'ultima del pacchetto, spiegazzato dalla permanenza
notturna nella tasca posteriore. Anche il fumo non gli dava granché
soddisfazione.
Girata
una curva si trovò di fronte un locale con le luci accese, e gli
scappò il secondo sorriso di quella mattina che sembrava senza fine.
Era un tipico locale da spiaggia, un bar trattoria con terrazza
appoggiato su
pali piantati dove finiva la spiaggia, una
palafitta, quei posti che
dopo pranzo fanno ombra ai giochi vocianti dei bambini.
A
prima vista Giuseppe non capì se quel bar fosse appena aperto o se
invece non avesse ancora chiuso dalle cene della notte. Sulla
terrazza, rivolti verso il mare, stavano un uomo e una donna, seduti
su due seggiole accostate, il braccio destro di lui attorno al collo
di lei, a volerla proteggere. Giuseppe, sorseggiando un caffè con
l'unica qualità dell'alta temperatura, si incantò a spiarli,
rapito da quel quadretto, che nella
sua fantasia avrebbe
dovuto essere eterno. Avrebbero persino potuto essere morti,
lasciando solo la
testimonianza di quel
gesto perfetto di
intimità e di affetto.
Non
sappiamo quanto tempo ancora Giuseppe restò fermo dietro di loro,
immobile e muto: ma ben sappiamo che, di fronte a una situazione che
ci piace, desideriamo che il tempo si fermi. Per cui Giuseppe ci
sarebbe invecchiato, a guardarli.
La
luce dell'aurora lo svegliò da quella piccola estasi, ricordandogli
il motivo principale, la
scusa forse, per cui era scappato dal bungalow così presto.
Scese
in spiaggia e si sedette sul bagnasciuga, stringendo le ginocchia fra
le braccia, e intanto che stringeva gli occhi per non perdere
l'attimo del primo raggio l'ondetta del primo mattino, lieve, gli
accarezzava i piedi. Non si curò nemmeno di gettare il mozzicone,
che gli restò appeso alle labbra. Chissà se i due ragazzi dormivano
ancora.
Stava
bene, e non
sentiva neanche più il freddo del mattino.
Guardava
fissamente quel punto nell'orizzonte dove il colore del cielo
suggeriva che sarebbe spuntato il primo arco di fuoco, e lo aspettava
con ansia, come se quel raggio avesse potuto magicamente dare una
svolta radicale alla sua vita.
E
finalmente, senza bisogno di nessuna colonna sonora, il sole
rinacque, e Giuseppe sorrise,
consapevole e contento.
Quel fuoco gli entrava nel cuore e, mano a mano che ingrandiva, tutte
le storture della sua vita gli sembrarono davvero suscettibili di
miglioramento, con pazienza e volontà.
Con
il sole ormai completamente in
cielo Giuseppe si voltò.
L'osteria aveva spento ogni luce e i due innamorati scomparsi. Non
riuscì a trattenere due lacrime, cercandoli inutilmente. Si sentiva
tradito anche se sapeva che loro non gli avevano promesso nulla, gli
avevano soltanto dato l'immagine dei suoi ricordi.
Certo
che sei triste, piccolo Giuseppe, torni con la coda tra le gambe nel
lettuccio del tuo bungalow, desiderando soltanto di issare l'ancora e
volgere la prua ad est.
Nessun commento:
Posta un commento