I
Anna Chiari era più che soddisfatta. Ottenere quella
scrittura l'aveva definitivamente convinta che avrebbe potuto vivere solo di
musica: avrebbe cantato al teatro Nuovo di Ferrara, un sabato sera ancora da
definire del prossimo ottobre.
Anna cantava accompagnata soltanto da
Paolo, che suonava il violino.
Aveva impiegato parecchio tempo a capire
come avrebbe dovuto accompagnare la sua voce, forte e roca, una voce “nera”,
senza dubbio, che per qualche aspetto ricordava quella di Nina Simone. Aveva
provato con pianisti, sassofonisti, oboisti persino, ma solo cantando
accompagnata dal violino di Paolo si sentiva sprofondare dentro un vortice,
avvolta dalla musica.
Tanta era stata la gavetta, per strada e
nelle piazze, nonostante il suo bel diploma di canto al conservatorio se lo
fosse preso, e con la lode. Ma sfondare nella musica, figuriamoci nella sua
particolare musica, era stato veramente difficile. Con quella scrittura poteva
a ragione ritenersi una musicista affermata.
Paolo era il suo specchio musicale. Si
erano conosciuti negli ultimi anni di conservatorio e fra loro c'era stato
subito un flusso, da entrambi immediatamente percepito, e non solo dovuto alle
cose che condividevano: Mahler, con le atmosfere sognanti che riusciva a
creare, i Lieder di Schubert; sarebbero vissuti di pizza, potendo. E il primo
film che avevano voluto rivedere insieme, il primo di tanti, era “Il Terzo
Uomo”.
Anna e Paolo però non erano diventati una
coppia, e naturalmente non vivevano insieme. Ma quella vita che era al di fuori
del Conservatorio, prima, e delle tournée, dopo, entrambi non la consideravano
proprio “vita”. Le loro case erano solo tane notturne, e come tutte le tane,
frequentate in maniera saltuaria e lasciate a sé stesse.
Ogni momento della giornata era buono per
provare una musica nuova, e una gioia antica, e il loro suonare insieme era
diventato una specie di eco: bastava una nota semplicemente accennata sul
violino, o dalla sua voce profonda, che questa diventava una nota sensibile e
occasione per una sessione di improvvisazione, magari davanti a colleghi
stupiti e invidiosi, soprattutto dell'esultanza che entrambi dimostravano.
Ecco perché quella scrittura a Ferrara
l'aveva convinta, era diventata ormai una cantante, e la strada per diventare
famosa era stata tracciata.
L'unico neo di questa vita in musica era
che Paolo, che lei ben sapeva titolare e responsabile della precisa metà di
quel successo, per il pubblico, così come per gli impresari, era solo una
silenziosa spalla. Di questo lei ci faceva una malattia ma non era riuscita a
cambiare la situazione, e spesso voleva pagarlo di più della metà di quello che
lei incassava.
Fra loro non c'era amore fisico, né mai
c'era stato qualche indizio, o preliminare, di amore fisico, ed entrambi, pur
pensandoci ben di più di quel che è lecito aspettarsi, nascondevano a sé stessi
questi pensieri, abilmente mascherandoli in sogni notturni indecifrabili. Può
darsi che inconsciamente pensassero che il sesso fosse in contrasto con
l'esercizio di una professione in coppia, fra l’altro una professione delicata
come la loro, che da un momento all'altro poteva scomparire, per una sciocca
malinconia di un pubblico maligno. Due sere col teatro vuoto e finisce tutto.
Dunque anche nell'eliminare il sesso
dalle loro vite erano, in linea di principio, d'accordo.
La serata a Ferrara andò davvero bene.
Teatro gremito e bis a volontà. La loro musica anche quella volta aveva fatto
il piccolo miracolo, e le persone uscivano dal teatro cantandola e
fischiettandola motivo per Anna di grande gioia.
All'una, dopo la doccia e mezz'ora di
yoga, uscirono nella notte, cercando un posto per mangiare. Erano ancora
lievemente eccitati, e affamati. Cercavano una buona pizza, magari con le
verdure grigliate. E un filo di olio al peperoncino, altra passione che
condividevano.
Piedigrotta è una nome di pizzeria molto
inflazionato ma un’occhiata dal di fuori della porta a vetri, e il fatto che
fosse a trenta metri dal teatro, li convinse a entrare. Non era un posto
particolarmente brutto, anche se molto ordinario: tavoli con le tovaglie a
quadrettoni rossi e bianchi, seggiole in plastica, il forno elettrico, non il
massimo per la pizza. L'unica cosa che tirasse su il tono del locale era la
cameriera ai tavoli. Una giraffa. Almeno uno e novanta, valutò Anna alla prima
occhiata. E della giraffa aveva l'eleganza del portamento e del movimento.
Sembrava che scivolasse, su quel linoleum. Una chiostra di denti bianchissimi,
messa in evidenza dal sorriso della ragazza, spiccava sull'incarnato, nero come
la notte più buia. Una tutsi, senza dubbio. Una cascata di treccine nere opache
le colava sulle spalle lucide. E due gambe, appena coperte dalla divisa, che
parlavano. Due gambe che a farcisi stringere sarebbero certo diventate una
morsa.
Si sedettero al primo tavolo sulla loro
destra, contro il muro. Solo altri due clienti erano presenti, due ragazzi che
mescolavano i baci con i bocconi della pizza.
Anna parlava eccitata della performance
di quella sera, rimarcando con puntigliosità le piccole imperfezioni scappate a
entrambi ma Paolo la ascoltava con disattenzione. Quando la cameriera arrivò al
tavolo Anna si accorse che Paolo sfoderò il più complice dei suoi sorrisi e ci
restò molto male, anche se non fece una piega. Paolo continuava a parlottare
con la ragazza, che a un certo punto scoppiò in una risata fragorosa. Anna li
sentiva attraverso una cortina che le impediva di capire ogni parola. Capì che
la ragazza si rivolse verso di lei e riuscì con difficoltà a mormorare: ”Per me
una pizza margherita e una mezza minerale naturale, grazie”.
Cercava a tutti i costi di non farsi
accorgere da Paolo di quell’accesso di gelosia, che “per contratto” non avrebbe
avuto motivo di esistere, ma lui se ne era accorto. Erano entrambi imbarazzati
e finirono le loro pizze in silenzio, con la scusa della stanchezza.
Nella sua stanza di albergo, con la
televisione accesa, Anna rifletteva sul fine serata, domandandosi cosa
significasse tutto ciò.
Sapeva bene che non sarebbe mai riuscita
a parlare con lui. Sarebbe stato semplicissimo prenderlo un attimo da parte, in
un momento favorevole, magari dietro le quinte prima di un concerto, e dirgli
in tutta semplicità quello che lei desiderava, di essere una coppia. Non le
sarebbero certo mancate le parole.
Quella solitudine notturna nelle stanze
d’albergo le era diventata insopportabile.
Cosa ci sarebbe voluto per dire quelle
quattro parole in croce?
Ci sarebbe voluta la capacità di
immaginare che se avesse ricevuto un rifiuto non le sarebbe caduto il mondo
addosso, cioè che questo rifiuto non avrebbe indotto una cascata di eventi
dolorosi e terribili, fra cui la fine del loro rapporto professionale e
l’annientamento del loro rapporto umano. Un disastro, un lutto. E solo il
pensare a questi avvenimenti, le era intollerabile.
Oltretutto era lei la prima a comprendere
che questo rifiuto era veramente poco verisimile. Sapeva di essere una bella
donna, sicuramente molto piacente, con uno sguardo arricchito da due profondi
occhi nocciola, un nasino appena accennato all’insù e due labbra che sembravano
disegnate da Raffaello. Il tutto incorniciato da una lunga chioma con riflessi
rossastri i cui spostamenti durante i concerti erano la delizia del suo
pubblico, e lei, sapendolo, ne approfittava, mettendosi d’accordo in questo
senso con il tecnico delle luci. Perché mai Paolo non avrebbe dovuto
acconsentire con gioia alla sua proposta?
Anna aveva paura. Semplicemente una paura
più forte di lei. Preferiva avvitarsi su sé stessa e sulla sua gelosia. Dopo
avere alzato il volume della televisione abbracciò il cuscino e pianse.
La mattina dopo, verso le sei, dopo il
commissario Pelle entrava nella pizzeria Piedigrotta, nella piazza del Teatro
Nuovo, dove era stato trovato il cadavere di una donna di colore, tale Aisha
Adadjan, immigrata dal Rwanda, del cui volto era stato fatto scempio.
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