Lui
Domattina parto presto.
Posso parcheggiare la macchina nel piazzale della funivia alle otto e
mezza. Due giorni interi di vacanza me li meritavo. Salgo su al
rifugio Torino e mi godo una giornata di ozio produttivo e di sole,
sempre che ce ne sia. La domenica prima di Natale non sarà poi così
affollato. Mi porto il computer, ho sempre un'enormità di cosa da
mettere in ordine: non a caso i francesi, che la sanno lunga,
chiamano il computer "l'ordinateur".
Passo un attimo a casa e
accendo il riscaldamento, è tanto che è chiusa. Oddio, casa è una
parola un po' troppo ottimistica: è una stanza serviziata, con un
lettone che viene giù da una parete e un angolo cottura molto ben
fornito, come la dispensa. E' il mio scannatoio. Stamattina ha solo
bisogno di essere messo un po' in ordine. Se stasera non tornassi da
solo non voglio fare la solita figura da barbone.
Lei
Sta finendo la settimana
bianca. Sono venuta col gruppo sci della banca. Settimana più che
organizzata, vorrei dire regolamentata fin nei più minimi
particolari. Sciamo sul Bianco e dormiamo a Courmayeur, in un quattro
stelle molto ben camuffato da due stelle, con un vitto orribile, che
ha vieppiù scombinato il mio già martoriato colon. Ho bisogno di
una minestra vera. E poi non c'è il bidet.
Lui
Salendo al rifugio il
cuore mi batte sempre. Riconosco il personale e ho la presunzione di
venirne riconosciuto. Ho un tavolo, il "mio" tavolo, a un
angolo della sala, e mi permette di vedere tutti quelli che entrano.
Le mie cose più belle le ho scritte qui, ispirato dalle facce degli
avventori-sciatori, aitanti giovani brufolosi, mamme sfiorite da
plastiche mal riuscite, ometti rampanti che in ogni momento della
vita devono dimostrare qualcosa: la loro insipienza.
Io me ne sto qui
tranquillo, col quaderno davanti, la mia Pelikan e la vita che mi
scorre davanti agli occhi. Ho buttato via tante cose fra quelle che
ho scritto ma nessuna di quelle che ho scritto qui, in questo angolo
di paradiso.
Qui la cucina del mio
ristorante diventa un nebbioso ricordo.
Lei
Stamattina ho lasciato
andare via tutti, ho dormito un'ora di più. Con studiata
tranquillità mi riempio il vassoio del breakfast, scegliendo con
cura da quel poco che è rimasto dopo il passaggio della mandria
delle sette e mezza. Restano un paio di yoghurt, che nell'etichetta
si vendono come prodotti con latte delle mucche valdostane. Penso
che se le mucche fossero uzbeke non sarei in grado di accorgermene.
Mi aiuteranno lo stesso a svuotarmi.
Alle undici arrivo al
rifugio Torino. Il sole mi accarezza, appena raffreddato da un refolo
di vento fresco. Penso che me ne starò tutto il giorno qui, a
riflettere sull'influenza che i massimi sistemi hanno avuto sulla mia
vita. Se ne avrò voglia mi allucertolerò sotto il sole.
Per intanto entro, chè
si sta bene anche dentro. C'è un bel caminetto, ti ci siedi vicino e
sorseggi una cioccolata calda con uno spruzzo di Chartreuse Vert.
Lui
E' appena entrata una
non-sciatrice, come me, e subito me la devo studiare per bene. Potrei
addirittura compilare il modulo notizie che mi ha data la mia amica
sceneggiatrice: età, capelli, occhi, scolarità, interessi, misura
del reggiseno (no, quella non c'è nel modulo, è nella mia testa). E
invece mi sorprendo a guardarle gli occhi che, a tre metri, sono ben
ispezionabili. Verdi, verdi come il mare dentro a certe grotte, di un
verde luccicante che sfuma nel blu. Occhi che non nascondono bene una
vita rigogliosa. Il reggiseno comunque è quello di una quarta.
Si è accorta che la
fisso: devo distogliere lo sguardo con nonchalance. Ci provo ma non sono
sicuro di riuscirci.
Lei
Mentre sento colare lungo
l'esofago il cioccolato alcoolizzato mi rendo conto di essere
osservata: è come se mi arrivasse sul collo un soffio caldo di
desiderio.
Purtroppo proviene da un
homunculus che da tempo ha rinunciato a pesarsi. Capisco che una
volta era biondo, perché ha baffi biondi. I capelli non più. E'
seduto a un angolo della sala (si vede che ha l'ansia di controllare
tutto) e ha davanti a sé un grosso quaderno. Una penna in mano.
Mentre mi fissa spinge su e giù il pulsante della penna, ma non
nervosamente.
E' un momento che nel
rifugio siamo solo noi due, oltre a un barista dedito alla Settimana
Enigmistica. Chissà se ci prova. Potrei anche far due parole.
Lui
E' sempre preoccupante
rivolgere la parola a una sconosciuta. Pericoloso. Rischi di essere
insultato ("levati di torno, ciccione"), di essere gelato
da una frase sprezzante, di essere considerato trasparente (anche se
i miei kili rendono poco verisimile questa ipotesi).
Però qualche volta il
desiderio di attaccare una spina è più forte della paura. "Anche
lei preferisce il dentro al fuori?" è stata la frase che è
uscita dopo un'istantanea e inconscia ricerca nella directory "frasi
di circostanza". Mi ha stupito la sua risposta che, al di là
delle parole, dimostrava il mio stesso interesse a chiudere quel
circuito.
Lei
E' un cuoco, ecco perché
è così grasso. E' comunque un grande affabulatore, oltre che un
evidente abbuffone. E' rimasto estasiato quando gli ho detto cosa ho
messo nella cioccolata calda. Abbiamo parlato fino all'ora di pranzo,
con quella confidenza che si riserva agli sconosciuti.
Mi ha invitato a pranzo,
e per me è stato naturale accettare. Si è persino permesso di
andare in cucina, presentarsi e spiegare a un esterrefatto chef come
avrebbe dovuto cucinare i medaglioni di cervo col coulis di mirtilli
e la panna acida. E mentre li mangiavamo me li raccontava così bene
che metà della squisitezza del piatto è venuto dal suo racconto.
Lui
Non è stato per niente
difficile coinvolgerla nel mio mondo. Non ha la fissa del cibo come
me, fissazione che talvolta diventa malinconia del cibo, e quindi non
è grassa, ma ha nei punti giusti quelle rotondità che invitano a
stringerle. Quando è stato il momento, dopo due flutes di Krug (lo
so, mi tratto molto bene) l'ho invitata a mangiare insieme quassù.
Nelle rarissime pause in
cui prendevo il respiro ha provato a raccontarmi della banca: il
fatto è che quando parlo di cibo mi infervoro. Siamo stati bene.
"Stasera vorrei cucinare per te". Il divertente è che non
le ho neanche chiesto come si chiama, come lei del resto.
Lei
Stiamo scendendo con la
funivia, silenziosi. Questo sconosciuto tricheco, a cui non ho
nemmeno chiesto il nome, mi ha invitato a cena a casa sua e io,
ascoltando un'altra me stessa, ho accettato con gioia.
E' l'ultima sera della
settimana bianca: se proprio devo fare una cosa imprevista con lui mi
piacerebbe. Non ho mai avuto trichechi sopra di me. Ciò non toglie
che questi minuti in funivia, assieme ad altri 98 umani, ci rendono
silenziosi, e oscenamente schiacciati.
Lui
Ho fatto bene a
riordinare la casa prima di salire al Torino. E' rimasta colpita
dall'assenza del letto, me ne sono accorto perché lo cercava con
un'insistenza sospetta. Ah ah, è proprio ben nascosto.
Non so che musica le
piaccia: le faccio scegliere fra Billie Holiday e Edith Piaf, due
mondi musicali fra loro lontanissimi, vicinissimi nelle vicende della
vita. Ha scelto la Holiday, non ne avevo dubbi.
Intanto le preparo lo
Spritz, con lo champenois.
Lei
Questa monolocale è un
po' la copia del rifugio, è carinissimo. Immagino che dorma sul
divano, è così grasso che avrà difficoltà a respirare, il leone
marino. Ha messo su un vinile di una cantante che non conosco ma
appena ho iniziato a sentirla un dolore antico si è travasato dalla
sua voce nel mio cuore. Anche col disco mi vuol dire qualcosa.
Mi ha messo in mano un
bicchierone con un liquido arancione buonissimo, con dentro tante
striscioline di buccia di limone, luccicanti. Incominciamo bene.
Quando il disco finisce
mi propone di andare a fare la spesa: sono curiosa di vederlo
all'opera e accetto volentieri.
Lui
Adoro questo negozio,
magazzino colmo di golosità nascoste. Qui mi riconoscono, e quando
esco mi stringono la mano. Sarà perché sono il miglior cliente,
quello che non discute sul prezzo e paga col bancomat. Ma esige il
massimo della qualità. Il mio saluto è sempre "che cosa mi
proponete oggi?".
Abbiamo gironzolato un
po', dovevo capire quali cibi preferisce. A un certo punto voleva
comperare delle tagliatelle all'uovo. Le ho sorriso, con un po' di
ironia, dicendole "Le tagliatelle te le faccio io!".
Abbiamo costruito insieme
il menu, molto leggero, entrambi con la testa al dopo cena.
Lei
Sta facendo la pasta
all'uovo. Si è fatto la fontana, ci ha rotto dentro le uova e sta
impastando con grande generosità: è proprio vero che cucina per
amore. Chissà se toccherà il mio corpo con la stessa soddisfazione.
Prima di mettersi il
grembiule mi ha preparato qualcos'altro da bere: lo Skywasser. Nulla
di più delizioso. Mi ha anche detto con dolcezza "siediti e
rilassati", ma ho capito che non vuole aiuto. E non sa che
favore mi fa. Certe sere la mia cena consiste nello spostare dei
contenitori dal freezer al microonde, e poi ragionare se il gusto
corrisponda a ciò che è scritto sull'etichetta. Il più delle volte
non c'è concordanza.
Lui
Ho finito di cucinare,
stremato ma contento. Tutto è riuscito perfettamente. Anche la
tavola, che ho apparecchiato come il più chic dei ristoranti. Le
accosto la sedia dal di dietro e le porto il vassoio con il primo
piatto, tagliolini alle erbe con dadini di mocetta valdostana e
ananas flambè. L'ho inventata sul momento.
L'espressione dimostra
che non crede alle sensazioni che provengono dalla bocca.
Un'esperienza erotica, senza dubbio. Una bella emozione.
Lei
Quest'uomo cucina da dio.
Mi sorprendo a pensare che se scopa come cucina domani in pullman
avrò molto sonno. Mi ha messo in bocca gusti che non ho mai
assaporato. Il Chicken Korma è stato celestiale. Anche il vino che
ha scelto, Ciliegiolo, è stato all'altezza del cibo.
E adesso siamo qui,
ancora a tavola, a sbocconcellare una stupida crostata con la crema pasticciera al cacao, e beviamo il Marsala superiore che ha aperto
per me.
Mi alzo e mi accovaccio
sul divano, col bicchiere in mano.
Lui
Adesso la musica la
scelgo io. Ho messo su Ray Charles, che ha sempre il suo fascino. La
mia cucina è stata all'altezza della fama del mio ristorante.
Son curioso di sapere che
odore ha la sua pelle, e glielo dico. Si scopre un po' la spalla e io
non perdo l'occasione per un bacino baffuto. Fa un sorriso, come
solleticata, e poi mi cinge la testa col braccio. Da quel momento gli
orologi si sono fermati. Abbiamo incominciato a librarci su di una
nuvoletta e Ray Charles ha cantato infinite volte "Georgia on my
mind".
Ci ha svegliato la luce
del giorno.
Lui e Lei
Siamo in macchina che
torniamo alla casa base, e al nostro lavoro di tutti i giorni. Ci
stringiamo le mani, io la destra e lei la sinistra. Non vogliamo
parlare. E' stato così bello che entrambi siamo sicuri di avere solo
sognato. Una goccia di Marsala sulla sua camicetta le ricorderà che
è tutto vero.
Dobbiamo ricordarci di
dirci almeno come ci chiamiamo.
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