Siamo in tre, Tonio, io e
il figlio di Salvatore.
E' qualche giorno che
aspettiamo, perché il pescatore, amico di Salvatore, per tre sere di
fila ci ha negato la partenza, anche se a noi il mare sembrava
soltanto un po' mosso. Stasera abbiamo finalmente ricevuto un cenno
di assenso.
Dire che ho sempre
sognato questa notte passata in barca a pescare è un po' esagerato,
soprattutto perché a diciott'anni non si ha un "sempre"
dietro le spalle. Però questa notte in cui non dormirò nel mio
comodo letto la immagino come un'avventura salgariana, e non mi
dispiacerebbe che fossimo attaccati da un praho affollato da pirati
vocianti.
Ci ha detto di
presentarci alle dieci, ma non ci ha detto come. Il primo errore è
stato quello di andarci a mangiare la pizza. Il secondo è stato
quello di pensare che in una notte di agosto non ci potesse essere
freddo.
Il
buio della notte di
luna nuova è spezzato soltanto dalla luce della lampara, assai
fioca. Comunque siamo partiti, finalmente.
Non
saprei dire il perché ma una volta che la prua solca le onde
diventiamo silenziosi. Il nostro duca fuma, senza posa. Non ci guarda
e non ci parla. La statua di un marinaio, si direbbe. Dirige il
timone verso un punto che lui conosce ma a noi è sconosciuto.
Non è
passato un quarto d'ora che al più magro di noi la pizza incomincia,
lentamente ma con grande risolutezza, a fare il percorso a ritroso.
Lui, come noi, cerca di fissare la sua attenzione all'onda separata e
illuminata, unico oggetto degno di essere visto. La sua faccia per
fortuna no, è così gialla che ci farebbe paura.
Un
mugolio ci avverte comunque che la pizza vuole imperiosamente uscire.
Per delicatezza (disinteresse?) gli voltiamo le spalle. Ma anche le
nostre, di pizze, si dimenano furiosamente.
Il
capitano prende qualcosa da un sacco, e glielo porge in silenzio.
Scrocchia, sotto i suoi denti. Domattina scopriremo che è un pan
secco strofinato con l'acciuga salata. Sta meglio, il giovane, e si
accoccola sul fondo della barca, stringendosi le gambe con le
braccia.
Non
voglio guardare l'orologio e non saprei dire che ora sia. Non mi
interessa. Al di là del fatto che ho i visceri in subbuglio e batto
i denti per il freddo, mi sento bene.
Tante
volte nella vita mi capiterà che una bella cosa sia sempre
leggermente rovinata da un fastidioso neo. Un po' come fare l'amore
col mal di schiena. Non esiste il piacere assoluto, ma, per fortuna,
non lo posso ancora sapere.
La
barca prosegue silenziosa. Aspettando i saraceni, o i tigrotti di
Mompracem, mi guardo intorno, ma le stelle da sole non mi possono
aiutare. Non vedo altre barche, e questo potrei capirlo, però non
vedo né terra né orizzonte: un'onda, un'onda sola e improvvisa
potrebbe ucciderci in un attimo, e sarebbe una morte infinitamente
più bella che sopravvivere, per un caso maligno, nel mare freddo,
con la consapevolezza di avere soltanto l'attesa della morte. Non
posso ancora aver capito che aspettare la morte è il destino della
nostra vita.
In
questi pensieri, più di paura che di filosofia, mi accorgo che il
motore si è fermato. Il nostro capo ha deciso di essere arrivato.
Chissà quanto lontani siamo dalla terraferma.
Si
alza e bofonchia qualcosa ai miei due compari, marinai mezzi
addormentati di una notte, e incominciano a buttare le reti. Fuma
sempre, quell'uomo.
Adesso
tutto tace, di un silenzio così greve che mi impedisce di dormire.
Anche lo stomaco si è zittito.
E'
proprio in questo momento che incomincia quella parte di avventura
che aspettavo con tanto desiderio, il momento in cui tutto ciò che
hai attorno ti è d'aiuto a guardarti dentro. Solo me e la lampara
che illumina qualche sfavillante metro d'acqua.
Il
fatto è che "indietro" e "dentro" c'è davvero
ben poco da vedere, e di quel poco emergono solo cose tristi, se non
proprio dolorose, come certi sabati pomeriggio chiuso in casa...
Del
resto io sono fatto così: il Navigatore, se volesse parlarmi con la
sua beffarda saggezza, mi direbbe "Se nasci quadrato non puoi
diventare rotondo". E se essere quadrato porterà sofferenza, a
me e a chi mi sarà intorno, di questa bisognerà in qualche modo
farsene carico.
L'amico
silenzioso fuma, e darei volentieri le cinquecento lire che ho in
tasca per sapere cosa pensa, se mai desideri pensare.
Mi
sono persino abituato al freddo. Cerco di capire qualcosa nel disegno
delle stelle ma riesco soltanto a realizzare che qualcuna è, chissà
poi perché, più luminosa delle altre.
Non
ho più nessuna paura. Cerco, e per qualche attimo ci riesco, a
sentirmi una sola cosa con questa natura umida che mi è dintorno,
voglio essere una stupida tessera di un mosaico del quale non potrò
mai conoscere il disegno. Solo un soldatino, una sentinella, forse.
Ma sento di avere un mio perché.
Non
saprei dire quanto tempo sia passato, e continuo a non voler vedere
l'orologio, che anzi desidero slacciare e dare in pasto ai pesci. Non
lo faccio solo perché è un regalo della Comunione. Forse un po' mi
assopisco.
Quando
riapro gli occhi la barca non è più ferma: sta tornando a casa con
la stessa serena placidità dell'andata. Ma ora la notte sta morendo,
anche essa con grazia e delicatezza. Non vedo più le stelle ma, in
compenso, riconosco un orizzonte che, di minuto in minuto, cambia
colore. E improvvisamente il cuore mi si riempie di gioia, così come
quando, più avanti negli anni, rivedrò dopo lungo tempo una persona
cara. In fin dei conti non tutto è morte, c'è anche la nascita. E
ogni nascita porta con sé la gioia di una vita ancora aperta a tutto
ciò che di più bello si possa desiderare. Purtroppo non lo posso
capire completamente, ho solo diciott'anni.
Ma
non ce n'è bisogno, vorrei alzarmi in piedi, gridare alla luce,
anche un po' anche piangere vorrei..... Il duce, che mi legge dentro
anche se analfabeta, mi sta dicendo con gli occhi che ci sarà una
nuova notte: "Stai tranquillo, "guagliò".
Arriviamo
in spiaggia che il sole non è ancora sorto da dietro le montagne. I
pescatori commentano sottovoce il risultato della notte, e capisco
dalle loro espressioni che non sono contenti, se mai lo possano
essere.
Solo
il nostro vecchio comandante ridacchia sotto i baffi, con tre
pesciolini addormentati in barca.
"All'ombra
dell'ultimo sole
s'era
assopito un pescatore
e
aveva un solco lungo il viso
come
una specie di sorriso".
Faber,
1970.
"Dire che ho sempre sognato questa notte passata in barca a pescare è un po' esagerato, soprattutto perché a diciott'anni non si ha un "sempre" dietro le spalle.." Mi piace, è vero, ed è vero sempre, a qualsiasi età!
RispondiEliminastefi
Avrei dovuto capire che si trattava di un Eugenio di 18 anni dalle 500 lire! Racconto molto introspettivo,considerazioni toccanti e profonde...come il mare! Annalisa
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