Dopo qualche tentativo, più allusioni che altro, in cui domanda e risposta erano stati del tutto impacciati, aveva preso il coraggio a quattro mani, e le aveva scritto, col solito mezzo, invitandola a cena a casa sua.
In realtà non ci credeva più di
tanto. Era con la testa sempre immersa in quel turbine con tanti
volti di donne che giravano incessantemente, e sembravano dirgli
“fermati! rifletti anche solo un attimo, ti stai consumando con le
tue mani...”. Ma non c'era verso.
Quel gioco era diventato un gioco al
massacro, progrediva come le biglie colorate di un biliardo inclinato
da una mano invisibile, con velocità crescente e verso il vuoto,
delle persone ma soprattutto dei sentimenti, la sua paura peggiore.
Ciò non toglie che l'invito era stato
insperatamente accolto, e il dover preparare una cena, senza se e
senza ma, era un'operazione da compiere, e con la
precisione del chirurgo. Cosa sarebbe successo dopo, ancor meglio se
durante la cena, era un problema in quel momento secondario.
La cena era in quel momento diventata
l'emblema dell'amore, e doveva trasmettere, nei cibi, l'ansimare del
desiderio.
Ovviamente non era così stupido da
inventarsi una di quelle cene con i cosiddetti cibi afrodisiaci
(aveva sempre sorriso pensando ai cibi “afro-asiatici”), che poi
afrodisiaci non riescono a essere, non puoi mangiare cento
ostriche.........
Avrebbe dovuto essere una piccola cena,
ma non minimalista, in cui ogni più minuto particolare, dalla piega
del tovagliolo all'etichetta del vino, doveva essere prima pensato e
meditato, così come avrebbe dovuto dimostrare tutto il lavoro, del
cuore prima che delle mani, che c'era stato dietro.
Sorse a quel punto la domanda solita:
prima il mercato o prima il menù? Non era mai riuscito a risolvere
questo dilemma e, quando organizzava i grandi pranzi, seguiva, più
che l'istinto del momento, le necessità contingenti, in primis
quella di conciliare l'uscita dal lavoro, mai alla stessa ora, con
l'orario del mercato o di quei negozietti di cosine un po' sfiziose
che erano diventati mèta di frequenti pellegrinaggi.
Dato che era venerdì sera decise che
la spesa l'avrebbe fatta l'indomani mattina, con tutta calma, e, dopo
il riposo pomeridiano, avrebbe dato inizio alle danze. Si applicò
quindi a studiare il menù.
Più ci pensi e meno idee in testa ti
vengono.
Hai la libreria piena di libri di
cucina (e non solo di cucina: c'è stato un momento della tua vita in
cui hai pensato che comperare sempre più libri fosse giusto, così
come pensavi che fosse giusto comperare quella che sembrava
l'enciclopedia perfetta. Adesso invece ti guardano, fanno bella
mostra di sé in una casa piena di librerie, e anche se sei contento
di avere il Battaglia, che spesso hai consultato, e ti ricordi
l'emozione di quando hai letto il lemma “amore”, tutto ciò,
nell'epoca in cui ogni informazione è cercata in rete, ha perso il
suo antico significato).
Allora , questi libri.... sfogli
distrattamente, cerchi una foto che ti ecciti, come fosse un viso di donna,
ma un bel viso, un viso pieno di desiderio. Provi a cercare
descrizioni semplici, non ti sono mai piaciute le ricette
arzigogolate, guardi l'Artusi, la bibbia, non riesci a concentrarti.
Il suo volto ti è continuamente davanti, dolcemente silenzioso, e te
la immagini mentre ti abbraccia, se mai ti abbraccerà, e ti figuri
la sensazione di dolcezza che si spalma su ogni centimetro di pelle.
Cazzo, se continui così la
preparazione del tuo menù se ne va a quel paese. Concentrarsi
bisogna.
Antipasto e secondo? E il dessert? Non
puoi mica ingozzarla, ma non devi fare neanche la figura di quello
che non si è impegnato, questo mai.
Ti decidi per un'entrèe e un secondo,
leggero questo, seguiti da un piccolo dessert.
Se poi ci dovesse essere un seguito
basta non bere tanto. Anche se tutto dovrà ancora succedere, pensi
saggiamente che ti accontenteresti anche di due baci (magari ben
dati), seduti vicini, davanti a un bicchiere di Passito, a
raccontarsi, meglio a condividere, le storie delle vite, anzi forse
sarebbe proprio meglio, che non faresti le solite miserabili figure.
Hai sempre invidiato i leoni, loro
hanno cinquanta rapporti al giorno, magari brevissimi, e disperdono
tranquillamente il loro sperma in accoglienti cavità spinti solo da
un istinto, antichissimo, che gli impedisce di preoccuparsi della
validità della loro erezione. Basta, adesso devi decidere.
Primo: spaghettini ai ciliegini
bruciati
Secondo: insalata di pollo con pesche
noci
Dessert: bianco mangiare
Per il vino: lo champagnino andrà
sempre bene, basta che non sia di marca cesso.
Il problema dei ciliegini è solo uno:
avere il coraggio di bruciarli e l'accortezza di fermarsi un secondo
prima della fine, è proprio il contrario di quello che sto facendo
io, infatti, conoscendomi, so che li brucerò, o forse no, non so
bene, quando cucino non capisco più niente, sono semplicemente
isterico.
“Bruciare” i ciliegini si ricollega
alla grigliatura del pollo (cosa più semplice se fatta con la
sonda), ma l'operazione importante è trovarlo, questo benedetto
pollo, che sappia di qualcosa che non sia il gesso delle lavagne.
Lo so, avvicinare pollo e pesche la
farà trasalire, anche se non avrà il coraggio di lamentarsi, i semi
di papavero poi...., riuscirò a sorprenderla.
Il dessert dovrà essere l'apoteosi
della dolcezza e della delicatezza, proprio come quei pochi baci che
cercherò di rubarle, con l'alito ancora di fior d'arancio e
vaniglia.
Non ci sarà neanche bisogno del coulis
di lamponi, solo bianco, come un foglio pronto sotto la penna, per
scriverci una nuova storia.
Non era stato difficile, alla fine si
era preparato tutto con cura meticolosa, gli restava pochissimo da
fare, praticamente solo cuocere gli spaghettini. Il dolce era in
frigo. La tavola era pronta, tovagliette all'americana con tanti tipi
di pasta diversi, a lui sembravano allegri. Aveva anche riordinato
bene la cucina: non diciamo che fosse luccicante come certi specchi
da barbiere ma comunque non dava un'aria di disordine, e anche il
divano non aveva più l'aria di accogliere tante notti insonni.
Mancava un'oretta.
Accese la radio (wonderful sixties!) e
si accoccolò su una poltrona con il sudoku in mano, e il cuore in
gola. L'ora più lunga. Ogni cinque minuti l'orologio (ma funzionerà
bene, mi sembra fermo!), le sigarette non le contava più, se mai
le aveva contate, la pressione saliva in maniera
estremamente tangibile, l'adrenalina girava come quella Giulietta che
si sarebbe voluto comprare (Quadrifoglio verde, 235 cavalli), la
saliva era finita.
Dopo tre quarti d'ora di passione
arrivò un messaggino, semplice e brutale “Scusami, non posso, ho
un impegno improvviso.”
Doveva aspettarselo, forse se lo
aspettava davvero, o soltanto ne aveva una paura fottuta.
Era successo, era un rischio che
avrebbe dovuto calcolare, o almeno prevedere e premunirsi un po' di
più, almeno dal punto di vista emotivo. E i baci? E il sentirsi, per
un po' di tempo almeno, “vicini”, ma come l'intendeva lui? Tutto
finito, forse rimandato, anche se con qualche capello bianco in più.
Sentì una carriolata di mattoni
scaricarsi sulla schiena, e gli occhi si annebbiarono. Riuscì con
grande difficoltà a rispondere con un altro messaggino, perché non
si potesse dire che non era una persona educata, per quel che serve
in questo mondo.
“Non ti preoccupare, sarà per
un'altra volta”. Si mise a piangere senza ritegno, come un
adolescente.
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