Hernàn, a
settantadue anni, aveva ben compreso i segnali che la tendenza
inarrestabile all'entropia, gli inviava sempre più spesso.
Dapprima periodi di
pochi secondi, seduto nella macchina ferma davanti a un semaforo, in cui aveva
l'improvvisa sensazione di trovarsi in un luogo sconosciuto, incapace
di muoversi e di andare in una qualsiasi direzione, appena
infastidito dai clacson irritati. L'ultima volta una donna si era
avvicinata al finestrino chiuso gridandogli se si sentisse bene e lui
aveva scosso la mano sinistra per dire “tutto OK”, ma con lo
sguardo spento. Quando a casa voleva cucinare qualcosa, tanto il
tempo libero ormai era troppo, si metteva in linea tutti gli
ingredienti e gli strumenti necessari per un bel piatto e d'un tratto
incominciava a fissare il tavolo dimèntico di tutto, come se quegli
oggetti non avessero per lui più alcun significato. Passato quel
momento, penosissimo, doveva ricordarsi la ricetta a partire da
quello che aveva di fronte e spesso, non riuscendovi, era preso da
una collera furiosa che lo spingeva a buttare tutto nel secchio. Quel
giorno il suo pasto sarebbero stati riso bollito e formaggio, freddi
di frigorifero. Non riuscendo neanche più a dormire si sedeva sul
divano a occhi aperti, ancora nervoso. Se avesse chiuso gli occhi
avrebbe visto la solita sarabanda di morti e di vivi, persone reali
che diventavano personaggi di una commedia sgradevole.
Erano pochi gli anni
passati dalla pensione e, oltre alla sensazione di prendere dei soldi
che, non lavorando, pensava non gli spettassero, sentiva profondo il
cambiamento in peggio della sua vita. Certo, l'ironia che lo aveva
sempre caratterizzato gli faceva nascondere bene la sua pena di
fronte a gli altri, ma non di fronte a sé stesso. Nessuno in casa
poteva immaginare quanta sofferenza lo accompagnava in ogni momento
della giornata.
La parola che
nessuno doveva mai permettersi di pronunciare, “vecchio” era il
rumore assordante che gli rimbombava continuamente nelle orecchie.
Hernàn non aveva paura della morte: spesso si figurava il momento
dell'ultimo respiro come quello di un addormentamento: forse per
questo motivo , per una paura non detta, prendere sonno ogni notte
era sempre più complicato. Ma davvero non aveva paura della morte.
Ciò che lo terrorizzava era quel periodo, di durata orribilmente
ignota, in cui forse sarebbe diventato un morto vivente, peso e
ingombro a sé stesso, non più consapevole, motivo di dolore e di
nostalgia per chi lo circondava. E poi c'era lei.
Hernàn, prima che
arrivasse l'incoscienza più completa, avrebbe voluto compiere quel
gesto di totale autodeterminazione che gli avrebbe permesso di morire
con dignità e di non sgretolarsi nel nulla dell'incoscienza. Alcuni
lo avevano fatto e lui, venendolo a sapere, pensava che avessero
fatto bene. Non riusciva a immaginare se sarebbe riuscito a mettere
in atto quella decisione.
Il problema, anche
in questo caso, era lei. Si sentiva responsabile e le voleva
risparmiare una vecchiaia piena solo di solitudine e di malinconia.
Aveva sofferto e aveva avuto una vita difficile, e il passare del
tempo non aveva certo migliorato la situazione. Seduto a occhi aperti
sul divano pensava a lei, e capiva che stava diventando un vecchio
demente.
Doveva inventarsi
qualcosa.
Venti anni aveva sua
nipote Gabriela. Studiava, senza ammazzarsi – ma questo era un
atteggiamento di tutta la famiglia, e non necessariamente negativo –
alla facoltà di Matematica di Cordoba e spesso aveva un'aria
sognante e svagata che al nonno ricordava il proprio deterioramento.
Era per questo che le era tanto affezionato. La chiamò al telefono,
utilizzando una rubrica cartacea che aveva ricominciato a usare, dopo
tanti anni. Anche questo un bel segno di regressione.
“Ciao Gabrielita,
quando hai dieci minuti per tuo nonno? Forse riesco anche a cucinarti
qualcosa...”. “Domani, e all'ora di pranzo”. “Ti aspetto,
Chiquita. Non mi deludere”. “Non è mai successo”. “Una
volta, mi sembra”. “Ah, ah, vecchio pazzo”. Era l'unica nipote
che aveva preso completamente il suo senso dell'ironia: la adorava
per questo. “Cosa vorrà da me nonno?” pensò Gabriela “Aveva
un tono di segretezza. Vedremo”.
Tornò a occuparsi
dell'esame di Geometria. La matematica era bella, e ai tempi del
liceo l'aveva adorata. Ma era semplice. Studiarla all'Università era
stato molto più difficile del previsto. Ciò che per qualche suo
fortunato compagno di studi era oggetto di naturale intuizione per
lei era il frutto di uno studio totalizzante e di durata a volte
neanche prevedibile.
Stare un paio d'ore
col nonno sarebbe stato un delizioso diversivo.
Arrivò all'una meno
un quarto. La aspettava un piattino di crocchette di pollo e
prosciutto con la salsa aioli semplicemente spettacolari. “Andiamo
al parco di Miraflores a sederci di fronte al Guadalquivir. Ti devo
fare una proposta economica” le disse Hernàn dopo che lei ebbe
finito di sbafarsi l'ultima striscia di aioli. Gabriela restò
perplessa. Essendo vicini al parco e in una giornata di sole pieno
non si rimise neanche il cappotto e uscirono di casa presto.
Il nonno era
silenzioso, come se rincorresse, con difficoltà, certi suoi
pensieri. Lei incominciò a parlargli del suo ultimo ragazzo, che al
momento portava le pizze a domicilio. Quando pronunciò la parola
“amore” Hernàn parve risvegliarsi dalle sue riflessioni e le
chiese, guardandola nei occhi neri con i suoi occhi tremolanti: “E'
un grande amore?” “Io vorrei di sì”. “Come si chiama?”
“Luisito”. “Fammelo conoscere prima che io muoia”. “Allora
c'è tempo, abuelito”.
Erano arrivati sulla
panchina che Hernàn aveva scelto e pensato da vari giorni.
Abbastanza tranquilla perché leggermente più distante da tutte le
altre, comoda e non troppo soleggiata. Di fronte al fiume,
tranquillo. Si sedettero a guardarlo.
“Chiquita,
potrebbe arrivare un giorno in cui non sarò più in grado di venire
qui, e non perché dovrò starmene a letto malato ma perché potrei
non essere più capace di trovare la strada”. Gabriela capì bene
il senso di quella frase: anche lei aveva notato, da mesi, piccoli
segni, momenti in cui lo sguardo era perso nel vuoto, ricerche
insensate di oggetti posti sotto gli occhi, risposte sconnesse a
semplici domande. Nella voce del nonno sentì il timore della
voragine.
“Vorrei che tu
fossi la mia guida quando arriverà quel momento. Mi porterai qui,
tutte le volte che potrai e siederai vicino al mio silenzio. Il
regalo te lo faccio subito cosicché tu non debba aspettare una
promessa nel testamento. E il regalo è un regalo, non deve
suggellare nessun impegno. Solo perché ti voglio bene, Chiquita”.
Le mise in mano un
assegno con quattro zeri. “Questo sarà il nostro segreto”.
Gabriela avrebbe
voluto abbracciarlo con una forza che non aveva mai avuto: quel
vecchio scimunito ancora una volta era riuscito a sorprenderla.
Realizzò che se avesse parlato ai suoi dell'assegno quei soldi sarebbero diventati patrimonio, legittimo, della famiglia. Ma
potevano anche essere un aiuto insperato per trasferirsi a Madrid.
Gabriela diventò la
guida di Hernan, i cui occhi presto divennero vuoti. Uno dei primi
giorni di queste gite si sedette sulla panchina, nello spazio libero
a fianco di Hernàn, una signora, che a Gabriela sembrò avere un
aspetto familiare. Una signora non molto alta, con un bel casco di
capelli biondi, biondi per i colpi di sole. E con due occhi celesti
le cui iridi avevano un orletto giallo luminosissimo. Il sorriso di
una bambina. Si sedeva vicino a lui e stava in silenzio. Gabriela
notò che quando lei arrivava il nonno, anche se non riusciva più a
parlare, sembrava più rilassato.
Fu la signora che in
un giorno di cielo coperto incominciò a parlare con Gabriela. Aveva
un tono di voce piacevole e cortese e incominciarono, giorno dopo
giorno a conoscersi. Hernàn sembrava che ascoltasse: qualche volta
borbottava frasi incomprensibili che, stranamente, la signora
sembrava comprendere. Nel giro di poche settimane questo incontro a
tre divenne una piacevole abitudine a cui Gabriela non avrebbe
rinunciato facilmente, e i giorni che la signora non compariva la
rendevano nervosa. Non solo lei.
Come dio volle
arrivò il giorno in cui Hernàn perse completamente la strada. La
nipote temeva quel momento ma non era preparata.
La signora
continuava a venire e Gabriela condivideva con lei il dolore
profondo per quella perdita.
Il nonno cercò con un gesto
impercettibile la mano della signora e la strinse con forza. Lei
sorrise e Gabrielita, finalmente, capì.
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