Quando,
due anni prima, aveva fatto le vacanze ad Agadir, in Marocco, fece
un'escursione di due giorni ai margini del Sahara. Man mano che la
carovana, lentamente, seguiva la pista, Corinnah percepiva intorno a
sé un silenzio sempre più denso.
Era
come essere circondata da un nuovo mare, non più blu e meno mobile,
ma altrettanto affascinante. Portatore di pace infinita; la stessa
sensazione di assoluto che solo poche spiagge, dopo il tramonto, le
avevano dato.
Col
passare delle ore l'aria era diventata così calda e asciutta,
nonostante fosse maggio, che Corinnah si sentiva soffocare. La
carovana si era fermata in un’oasi, una ventina di grosse tende,
alcune collegate fra loro da piccoli passaggi. Un pozzo. Due palme.
Nel momento di maggiore calura l'ombra che davano le tende e la
corrente d'aria che riuscivano a creare la aiutarono a respirare.
Mangiare
con i Tuareg fu piacevolissimo: Corinnah comprese che per mangiare
assieme non c'è bisogno di parlare la stessa lingua. La lingua
condivisa è il cibo. Per offrire un piatto non c'è bisogno di
parole. Per assaggiarlo, gustarlo e apprezzarlo basta la tua
espressione di curiosità, di gioia e di gratitudine.
Quello
stufato di montone con il cus cus fatto dalle donne, con la giusta
dose di spezie – quante volte Corinnah aveva dovuto buttare via con
rimpianto una pietanza resa immangiabile dalle troppe spezie che ci
aveva buttato dentro – era delizioso, e per mesi ne aveva serbato
il sapore, che riusciva distintamente a recuperare al solo pensiero.
Il suo compagno di viaggio, e cavaliere, non era riuscito a
emozionarsi per quel piatto e Corinnah ne era rimasta delusa.
Le
donne dei Tuareg mangiavano separate, dopo gli uomini che mangiavano
con gli ospiti: Corinnah ne era infastidita perché la trovava una
cosa ingiusta, anche se aveva notato che quelle ragazze trovavano la
cosa assolutamente normale.
La
sera, dopo una corsa sui cammelli fra le dune spostate dal vento, la
cena, fuori dalle tende, era stata più ricca, illuminata da piccoli
falò. Le ragazze avevano ballato e dopo poco Corinnah si era unita a
loro. Le piaceva ballare, cosa per lei naturale. Era armoniosa e
spontanea nei movimenti e aveva presto imparato i gesti del loro
volteggiare.
Quella
notte andarono a dormire tardi, con l'accampamento illuminato
soltanto dai bagliori delle braci che si stavano spegnendo. Era
spossata: aveva ballato per ore e aveva perso la nozione del tempo.
L'orologio l’aveva lasciato a New York.
Nel
sacco a pelo si girava senza riuscire a prendere sonno: doveva
smaltire l'eccitazione che la danza le aveva portato e che il té
forte aveva rinforzato. Il compagno di viaggio, sdraiato al suo
fianco, russava leggermente, a intervalli regolari. Un caro ragazzo
e un buon giornalista, nulla di più.
A
un tratto, mentre il cielo incominciava a schiarire, sentì intorno a
lei dei sospiri inconfondibili. Non avrebbe saputo dire da dove
venivano: erano intorno a lei. Sulle prime le venne da ridere: le
tende non sono l'ideale per la privacy. Ma non riuscì a distogliere
l'attenzione. Si chiese quale delle ragazze che avevano danzato con
lei potesse essere; tutte erano molto belle e ognuna poteva regalare
a un uomo una notte d'incanto.
La
frequenza e l'intensità dei sospiri aumentava. Quello della donna
più lentamente, quello dell'uomo a poco a poco diventava un grido
trattenuto.
Corinnah
fu presa da una frenesia incontenibile. Mise la mano dentro il sacco
a pelo del compagno di viaggio e sorrise, immaginandosi il sogno che
stava facendo. Si avvicinò alla sua bocca e gli diede un morso sulle
labbra; con un secondo morso lo svegliò; gli impedì di parlare
mettendogli la lingua nella bocca. Aprì completamente la cerniera
del sacco a pelo e gli saltò sopra. Si era già sfilata gli slip.
Lui era completamente sveglio: incredulo di tanta fortuna non si
tirò indietro. Corinnah, sollevata sul corpo di lui, incominciò a
ondeggiare con lo stesso ritmo dei sospiri che sentiva intorno.
Ascoltavano in silenzio la voce soffocata del piacere intorno a loro
e la fecero propria.
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