"Passata è la tempesta. Odo
augelli far festa". Veramente qui non si ode nulla, e stamattina
anche l'onda che muore sulla riva corre silenziosamente. E'
un'ondetta. Il ricordo di ieri sta sfumando e l'essere svegliato
dalla luce del sole mi riempie di dolcezza. Una luce ancora gentile,
come ti sei sempre sognato che dovrebbe essere la carezza del tuo
amore che ti sveglia al mattino. Indugio ad alzarmi, e mi sgranchisco
sistematicamente tutte le articolazioni intorpidite. Non ricordo
neanche bene quanta paura ho provato, e quindi mi alzo sereno.
Dopo colazione mi metto a
lavorare: voglio fare subito il piatto da portare su, ghemistà, i
pomodori alla greca, ripieni di riso e verdure. Non ci vuole molto,
per chi è pratico. Sono proprio belli. Dato che l'Orco non è ancora
passato decido di salire su io, magari riesco a fare una carezza al
gattone. A differenza di lui io busso, e con vigore. "Entra!"
mi viene gridato dal di dentro. Varco l'uscio e vengo avvolto dalla
nuvola del pane appena sfornato. "Oggi pomodori ripieni di
riso!", esclamo con orgoglio. Mi guardo anche intorno per
cercare la bestia, ma non la vedo.
"Come è andata ieri? Ti ho
visto tornare di corsa". Nulla sfugge all'Orco. "Non ho mai
avuto tanta paura come iersera", ascolto un poco stupito la mia
risposta: quest'uomo suscita confidenza. "Ogni tanto qui capita.
Vedrai, la seconda volta sarà meno paurosa."
Quest'uomo è saggio. Ha detto
questa frase con un tono di sollecitudine paterna che ha mosso dentro
di me qualcosa di profondo. "E comunque c'è di peggio",
continua con lo stesso tono di voce, "Per esempio avere avere un
infarto qui sul faro. E sedersi in poltrona ad aspettare".
Stupefacente, forse mi sta prendendo in giro... "Qualche mese
fa, quest'inverno, mentre stavo cenando, mi si è improvvisamente
chiuso lo stomaco e ho avuto un capogiro. Mi sono seduto e nel giro
di pochi minuti ho sentito un dolore lancinante alla mano sinistra".
"E allora cosa hai fatto?", chiedo. "Nulla. Cosa vuoi
che facessi? Qui non c'è proprio niente da fare, che non sia la
manutenzione e la custodia del faro. Mi sono seduto e ho aspettato.
Forse sarei morto, forse no". "Ma non avevi il
satellitare?" "Certo. Ma non ho voluto usarlo". L'Orco
ha voluto sfidare la morte, aspettandola tranquillamente con il suo
certosino in braccio. Un coraggio da leone? L'incoscienza di un
pazzo? Non sono io la persona più adatta a giudicarlo. "E
adesso come stai?". "Non ho più il dolore alla mano".
Sei un grande, Orco, davvero. Non sono capace a raccontare l'ironia
con cui mi hai detto queste parole ma sei riuscito a farmi sorridere.
Io, quando ho avuto l'infarto, ho fatto tutto quello "che si
doveva fare", ma adesso capisco che avrei anche potuto fare
qualcosa di diverso...
Mi prendo il mio pane fumante e
me ne vado, col desiderio di abbracciarlo.
Adesso io e Lui condividiamo
qualcosa. Ci penso mentre scendo la mezza scala col pane tiepido in
braccio. Non ricordo poi così volentieri il mio, di infarto, anche
se non posso farne a meno, visto il mezz'etto di pillole che devo
sorbirmi ogni giorno. La mia paura, quella sera, non era tanto quella
di morire, cose del resto semplice come l'addormentarsi, ma quella di
perdere il controllo della situazione. Il mio fato benigno ha deciso
di permettermi di essere sempre presente in ogni momento di quelle
tre lunghe ore, tanto che alla fine mi è persino tornato un certo
buonumore.
Per scacciare il ricordo mi
farcisco il pane con con fagiolini, tonno e acciughe. Un uovo
bollito. Due falde di peperone. Un filo d'olio. Il sale purtroppo no.
E le sempre adorate erbe di Provenza. Tante, ne ho portate.
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