lunedì 8 ottobre 2018

Mario

Le domeniche pomeriggio le passava in casa; trovava sempre qualcosa da fare che gli impedisse di pensare: la radio, il totocalcio. Un nuovo giallo, per distrarsi. Mai la televisione. Anche quando veniva invitato a un cinema, a vedere un film non scelto da lui, aveva la stessa sensazione di inappropriatezza, e aspettava che dovesse succedere qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita.
Passava così le domeniche, fumando alla finestra della sua camera, una Camel dietro l'altra, fino a che la tosse non lo sfiniva.
Quella domenica si impose di uscire, senza sapere dove andare. Prese l'autobus numero 1, quello che faceva il percorso più lungo, più di un'ora per arrivare al capolinea. Non aveva niente da fare, e con settanta lire poteva passarsi due o quattro ore. La domenica pomeriggio, dal centro alla periferia, non c'è ressa e puoi sederti.

Lei salì due fermate dopo. A lui, che faceva la seconda classe del liceo scientifico, parve una bambina, ma aveva tredici anni. La prima cosa che notò fu l'acne, un punto d'incontro importante. Chissà dove andava. Un fato cieco gliela fece sedere di fronte. Come sarebbe stato possibile fare finta di non guardarla, ma soprattutto come farsi guardare da lei? Certo non per l'abbigliamento: lui vestiva quello che gli davano e aveva imparato a non farci caso. Ma in quel momento avrebbe voluto portare le scarpe con i fiocchetti, quelle che aveva visto a scuola addosso al suo compagno Grimaldi, che ne faceva sfoggio.
Cosa la poteva interessare in un ragazzo più che ordinario?
Di nuovo il fato gli diede una bella spinta. Mentre la bimba frugava nella borsa le cadde dalle mani un rossetto, complice una brusca frenata del mezzo. Entrambi si chinarono e i loro volti si sfiorarono per un attimo. Mario fu più lesto e prese il rossetto. Lei vide il rossore sul volto di lui nel porgerglielo e non poté fare a meno di ridere. Anche lui rise.
«Grazie!» mormorò.
«Figurati».
Lui il rossore non lo poteva vedere ma il viso bruciava.
«Sono più rosso io o il rossetto?»
«Tu, senza dubbio.»
Dopo tre secondi le chiese: «Cosa fai?»
Come sei bella.”
«Torno a casa, sono stata tutto il giorno in ospedale con mio padre.»
«Sarai stanca.»
Cosa ha questo ragazzo? Mi sembra diverso.”
«No, solo annoiata. Aspetto che lo dimettano. La domenica tocca a me andare da lui.»
E adesso che le dico?”
«Io fra due anni mi iscriverò a Medicina.»
Sono bugiardo ma ne vale la pena.”
«Tu cosa vuoi fare?»
«Non lo so ancora.»
Il passeggero a fianco di Mario, lui non capì neanche se era un uomo o una donna, si alzò e scomparve. Anche lei si alzò, e andò a sedere vicino a lui. Non dovevano più guardarsi negli occhi ma si toccavano, anzi, lei dopo poco si appoggiò a lui con naturalezza.
«Dove scendi?»
«Al capolinea»
Non meno di mezz'ora...”
I pomeriggi invernali perdono presto ogni chiarore.
Come se si fossero conosciuti da sempre lei appoggiò la testa sulla sua spalla e, per qualche minuto, dormì. Mario se ne accorse perché il respiro di lei divenne regolare.
Non ho mai dormito sulla spalla di un ragazzo sconosciuto.”
Gli occhi di lui caddero sul maglione di angora beige, dove spuntava un piccolo seno, ancora acerbo ma in quel momento più che appetibile. Immaginando i capezzoli sentì un bel calduccio in mezzo alle gambe.
«Mi accompagneresti a casa? E' già buio e devo fare un tratto a piedi».
«Certo!»
Son venuto per questo...”
Quando scesero dall'autobus lui, per aiutarla, le porse la mano e lei non gliela lasciò più.
Il gonfiore in mezzo alle gambe cresceva e Mario annuiva senza ascoltare quello che lei gli raccontava, e il desiderio di conoscere il gusto che avrebbe avuto la bocca di lei lo metteva in condizione di non capire più niente.
Si fermò quando vide un muretto, con vista sul porto illuminato. “Stai un minuto zitta”. Provò a baciarla: non l'aveva mai fatto. Per essere la prima volta gli riuscì benino.
Che bravo, chissà quante prima di me.”
Che motivo c'era di smettere? Il piacere aveva stoppato il tempo. Entrambi non volevano pensare.
Mario si sentì tirare giù la cerniera del pantalone ma non smise di baciarla, respirò solo un po' più affannosamente. Quella mano fresca, estranea, non ebbe bisogno di muoversi più di tanto: dopo pochi attimi fu inondata di sperma caldo. La testa di lui cadde sul collo di lei e le diede un piccolo morso. Rideva Mario, nessuno poteva sapere che era la prima volta.
«Quante ragazze hai avuto?», gli disse lei asciugandosi la mano.
«Qualcuna...»
«Anche io.»
Cosa ne poteva sapere lui...
«Dimmi almeno come ti chiami...»
«No. Ti cercherò io.»
Sara entrò nel portone.