Le
domeniche pomeriggio le passava in casa; trovava sempre qualcosa da
fare che gli impedisse di pensare: la radio, il totocalcio. Un nuovo
giallo, per distrarsi. Mai la televisione. Anche quando veniva
invitato a un cinema, a vedere un film non scelto da lui, aveva la
stessa sensazione di inappropriatezza, e aspettava che dovesse
succedere qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita.
Passava
così le domeniche, fumando alla finestra della sua camera, una Camel
dietro l'altra, fino a che la tosse non lo sfiniva.
Quella
domenica si impose di uscire, senza sapere dove andare. Prese
l'autobus numero 1, quello che faceva il percorso più lungo, più di
un'ora per arrivare al capolinea. Non aveva niente da fare, e con
settanta lire poteva passarsi due o quattro ore. La domenica
pomeriggio, dal centro alla periferia, non c'è ressa e puoi sederti.
Lei
salì due fermate dopo. A lui, che faceva la seconda classe del liceo
scientifico, parve una bambina, ma aveva tredici anni. La prima cosa
che notò fu l'acne, un punto d'incontro importante. Chissà dove
andava. Un fato cieco gliela fece sedere di fronte. Come sarebbe
stato possibile fare finta di non guardarla, ma soprattutto come
farsi guardare da lei? Certo non per l'abbigliamento: lui vestiva
quello che gli davano e aveva imparato a non farci caso. Ma in quel
momento avrebbe voluto portare le scarpe con i fiocchetti, quelle che
aveva visto a scuola addosso al suo compagno Grimaldi, che ne faceva
sfoggio.
Cosa
la poteva interessare in un ragazzo più che ordinario?
Di
nuovo il fato gli diede una bella spinta. Mentre la bimba frugava
nella borsa le cadde dalle mani un rossetto, complice una brusca
frenata del mezzo. Entrambi si chinarono e i loro volti si sfiorarono
per un attimo. Mario fu più lesto e prese il rossetto. Lei vide il
rossore sul volto di lui nel porgerglielo e non poté fare a meno di
ridere. Anche lui rise.
«Grazie!»
mormorò.
«Figurati».
Lui
il rossore non lo poteva vedere ma il viso bruciava.
«Sono
più rosso io o il rossetto?»
«Tu,
senza dubbio.»
Dopo
tre secondi le chiese: «Cosa fai?»
“Come
sei bella.”
«Torno
a casa, sono stata tutto il giorno in ospedale con mio padre.»
«Sarai
stanca.»
“Cosa
ha questo ragazzo? Mi sembra diverso.”
«No,
solo annoiata. Aspetto che lo dimettano. La domenica tocca a me
andare da lui.»
“E
adesso che le dico?”
«Io
fra due anni mi iscriverò a Medicina.»
“Sono
bugiardo ma ne vale la pena.”
«Tu
cosa vuoi fare?»
«Non
lo so ancora.»
Il
passeggero a fianco di Mario, lui non capì neanche se era un uomo o
una donna, si alzò e scomparve. Anche lei si alzò, e andò a sedere
vicino a lui. Non dovevano più guardarsi negli occhi ma si
toccavano, anzi, lei dopo poco si appoggiò a lui con naturalezza.
«Dove
scendi?»
«Al
capolinea»
“Non
meno di mezz'ora...”
I
pomeriggi invernali perdono presto ogni chiarore.
Come
se si fossero conosciuti da sempre lei appoggiò la testa sulla sua
spalla e, per qualche minuto, dormì. Mario se ne accorse perché il
respiro di lei divenne regolare.
“Non
ho mai dormito sulla spalla di un ragazzo sconosciuto.”
Gli
occhi di lui caddero sul maglione di angora beige, dove spuntava un
piccolo seno, ancora acerbo ma in quel momento più che appetibile.
Immaginando i capezzoli sentì un bel calduccio in mezzo alle gambe.
«Mi
accompagneresti a casa? E' già buio e devo fare un tratto a piedi».
«Certo!»
“Son
venuto per questo...”
Quando
scesero dall'autobus lui, per aiutarla, le porse la mano e lei non
gliela lasciò più.
Il
gonfiore in mezzo alle gambe cresceva e Mario annuiva senza ascoltare
quello che lei gli raccontava, e il desiderio di conoscere il gusto
che avrebbe avuto la bocca di lei lo metteva in condizione di non
capire più niente.
Si
fermò quando vide un muretto, con vista sul porto illuminato. “Stai
un minuto zitta”. Provò a baciarla: non l'aveva mai fatto. Per
essere la prima volta gli riuscì benino.
“Che
bravo, chissà quante prima di me.”
Che
motivo c'era di smettere? Il piacere aveva stoppato il tempo.
Entrambi non volevano pensare.
Mario
si sentì tirare giù la cerniera del pantalone ma non smise di
baciarla, respirò solo un po' più affannosamente. Quella mano
fresca, estranea, non ebbe bisogno di muoversi più di tanto: dopo
pochi attimi fu inondata di sperma caldo. La testa di lui cadde sul
collo di lei e le diede un piccolo morso. Rideva Mario, nessuno
poteva sapere che era la prima volta.
«Quante
ragazze hai avuto?», gli disse lei asciugandosi la mano.
«Qualcuna...»
«Anche
io.»
Cosa
ne poteva sapere lui...
«Dimmi
almeno come ti chiami...»
«No.
Ti cercherò io.»
Sara
entrò nel portone.