venerdì 21 giugno 2019

RODORFO

"Prima o poi entrerò nel cuore del mondo".
Così pensava Rodorfo, quella mattina dell'ultimo giorno della sua vita. Si sentiva una schifezza. Solo muovere il braccio, prendere il bicchiere e bersi un sorso di Falanghina gli costavano uno sforzo indicibile. Aveva imposto alla famiglia - che lui chiamava "quegli stronzi" - di dargli solo quella che lui si era sempre fatto venire da Sant'Agata dei Goti, e loro non avevano osato disobbedirgli, ma glielo annacquavano.
Aveva capito di essere all'ultimo chilometro: era tempo di bilanci. Preti no, per favore. Le istruzioni, scritte, erano perentorie.
Gli vennero in mente, dopo l'iniezione di morfina, i volti delle persone che aveva incontrato nella sua vita. A tutti aveva cercato di dare qualcosa, spesso il meglio di sé. Non aveva fatto "porzioni" per nessuno, dando a ciascuno, in ogni occasione, tutto sé stesso. Facciate parecchie.

Peter era di pessimo umore. Non aveva dormito neanche un'ora a causa di un fastidioso attacco di gotta. Sapeva che sarebbero arrivate non meno di diecimila anime (gli arcangeli dell'Ufficio Accessi gli avevano mandato il fax) e controllarle tutte sarebbe stato peggio dell'Inferno. Scacciò questo pensiero che lì era fuori luogo.
Prese il libro delle anime e incominciò a sfogliarlo. Diecimila anime da far passare attraverso quel ponte che finiva con due strade, una in salita e una in discesa, era massacrante.
Chi era lui per arrogarsi quel diritto..... era stato messo lì a fare un lavoro che non gli piaceva per nulla. Ma doveva obbedire. E non domandarsi che fine avrebbero fatto le anime da lui deviate verso la strada in discesa.
Tutto il giorno aveva lavorato, senza pausa pranzo. Era stravolto.
Improvvisamente gli si parò davanti un ometto dall'aria insignificante. Non alto, con lo sguardo attento e curioso. Occhi azzurri, forse grigi. Non aveva nulla di rassegnato. Come la maggior parte degli uomini in fila aveva un completo scuro, quello che aveva usato il giorno del matrimonio terreno. Nulla in lui faceva pensare al dolore o alla tristezza. Aveva al fianco una donna: riccioli ancora biondi le incorniciavano il viso rugoso e pallido. La sua espressione era timida e fiera.
Peter sfogliò il libro e arrivò alla pagina dell'ometto: un'aria mite ma ne aveva combinate di tutti i colori, proprio un tipo da sbarco... Non poteva dedicargli più di pochi secondi e avvicinò la mano alla leva che chiudeva l'accesso alla via in salita. La mano però si bloccò improvvisamente: come un brontolìo pareva salire dalla moltitudine ferma in attesa.
Chi mai si permetteva di fare quel frastuono? Cercò di distinguere meglio quello che gli sembrava soltanto un indistinto brusio. "Ro-dor-fo, Ro-dor-fo...". Il nome scandito, ripetuto da sempre più persone e a voce sempre più alta, ormai era chiaro a tutti, persino ai cherubini al suo fianco, che sorridevano serafici.
"Basta! Fate silenzio!!", tuonarono impotenti gli altoparlanti, mentre Rodorfo rideva lusingato.....
La donna vicino a lui era beata, tanto clamore per il suo uomo la inorgogliva. Rodorfo l'aveva fatta impazzire tutta la vita. Con lui era davvero stato un continuo alternarsi di paradiso ed inferno, ma entrambi sapevano di non poter fare a meno l'uno dell'altra, e questo forte legame era evidente osservando come si guardavano negli occhi.
Il brusìo divenne un coro da stadio. Allora Peter si incazzò davvero e chiese a Rodorfo “Cosa hanno da gridare il tuo nome?” con tono poco amichevole. “Nun o sacc, cape. Aggiu avute nu sacch amici. A tant aggiù cercate e vulè bene comme meglio puteve. Cheste è na manifestazione d’affetto che nun avria putute credere lancoppa. Forse overo a gente non se scorda...”
Vabbene, passa e prendi la strada in salita. Non voglio casino qui. Mi prenderò io la responsabilità di farti passare”.
Cape, disgraziatamente non song sule..”. “Che dici? Tutti sono soli qui, davanti a me e alla loro coscienza”. “Cape, NUN SONG SULE. Cummè ce sta ess”.
Peter voltò la pagina e la trovò subito. “Rodolfo, abbi pazienza non posso proprio.”
Nun ce sta prublem cape. Si ess non pote venì cummè ie vache cu ess all’Infierno. Aggiù trasuto into o core da gente, ma ess è nata cos. Grazie lo stesso”.
Anche lei non aveva alcun timore per quello che sarebbe capitato: in vita aveva dovuto condividere quell'uomo con altre donne, ma finalmente, e per l'eternità, sarebbe stato solo il suo. E con questa gioia e consapevolezza gli stringeva la mano.
Peter lo sapeva da mo' che quella non era giornata: l'ulcera riprese a bruciare. Anche lui doveva rendere conto a qualcuno.
Li vide scendere lungo la via verso il buio, mano nella mano. 

 

domenica 19 maggio 2019

Dialoghi da bar

«Ciao!»
«Siediti»
«Cosa prendi?»
«Già fatto»
«Potevi aspettarmi...»
«Dì tu cosa vuoi»
«E' lo stesso»
«Per favore porti alla signora un cappuccio senza schiuma e una brioche vuota»
«Non dimentichi...»
«Cosa volevi dirmi?»
«Ma niente, solite menate.»
«Allora?»
«I ragazzi che non ci sono mai, i genitori sempre più in difficoltà, quell'uomo sempre più distante»
«L'hai voluto tu»
«Sì, certo. Sai bene perché»
«Ribadisco, e allora?»
«Allora niente. Mi faceva piacere vederti»
«Di fronte o di profilo?»
«Non c'è più nulla fra noi?»
«Non quello che vuoi tu»
«Sei stupido e ostinato.»
«Non sei obbligata. Amici mai.»
«Non hai bei ricordi?»
«Ho resettato tutto»
Lei inzuppa la brioche nel cappuccio. Lui fa finta di finire un articolo ma le vede le lacrime.
«Hai bisogno di qualcosa?»
«Non sei più capace a darmi nulla»
«Tu mi hai reso così. Peggio per te»
Si alza innervosita e va a prendere lo scooter.
“Idiota” 
“Imbecille. Potevamo ancora condividere tante cose.”

martedì 26 marzo 2019

VACANZE

Marco non riesce a continuare l'Università. Quell'esame di Storia dell'Arte lo ha già dato tre volte. Forse il professore lo ha preso di mira. E' scoraggiato. I suoi, quando va a chiedergli di interrompere gli studi per un anno, non possono fare a meno di essere d'accordo, ma a malincuore.
Sara, l'amica di mamma, le ha raccontato che una famiglia cerca qualcuno per accompagnare un ragazzo in una vacanza in Corsica, Raffaele. E' autistico ma tranquillo. Il compenso è buono. Può essere un'esperienza formativa anche per chi lo accompagnerà, pensa la donna, e propone al figlio questo lavoretto. Vuole che si distragga.
Quando Marco va conoscere i genitori di Raffaele capisce bene che non aspettano altro che di liberarsene per qualche tempo. Hanno un'aria affaticata e sofferente. Offrono una paga troppo buona. Però lui è giovane e pieno di buoni propositi. Ed è anche poco più vecchio di Raffaele. E' già maggiorenne ma la distanza fra le loro età è piccola: potranno capirsi con facilità. Sa di poter essere responsabile di quel ragazzo che ancora non conosce. Sa di avere nel cuore la forza per difenderlo da tutto. Non ha ancora capito che Raffaele ha solo bisogno di difendersi da sé stesso.
Il giorno dopo si conoscono: Raffaele ha sedici anni, ha un'aria innocua nel corpo di un gigante: a Marco fa venire in mente Garrone di Cuore. Tiene sempre gli occhi bassi e fuma una sigaretta dietro l'altra. I genitori gli dicono che Marco lo accompagnerà in Corsica e per un attimo alza lo sguardo. In quegli occhi Marco legge il nulla. Raffaele vive in un mondo nel quale non può entrare nessuno: troppo pericoloso. Ha i suoi riti che gli permettono di sedare l'ansia, sempre in agguato. Non ci vuol niente che diventi terrore. Le sigarette lo proteggono. Ha le dita gialle a sedici anni.
Marco pensa “Si può fare” e accetta di andare un mese in Corsica con quel pacco.

Due sere dopo, al porto di Marsiglia, Raffaele si presenta accompagnato dai genitori, che cercano di nascondere la soddisfazione per quella che è la loro vacanza. Ha già le ciabattine da mare, una Lacoste rossa un po' stretta e una sacca di pelle con tutte le sue cose. Nell'altra mano ha una stecca di Gitanes papier mais, quelle gialle. Gliele ha messe in mano suo padre.
Marco lo fa salire in macchina e gli cerca la mano per stringerla. Stanno un'ora in macchina ad aspettare l'imbarco e Marco non riesce a trovare nulla di sensato da dire.
Raffaele si guarda intorno, ha già voglia di scappare.
Finalmente sono sul ponte B, quello dove ci sono le poltrone reclinabili prenotate. Non c'è la zona fumatori, per cui Raffaele deve andare e venire sul ponte, al freddo della notte. Marco dietro a lui.
Finalmente l'autistico – Marco ha letto in questi due giorni che è uno dei sintomi della schizofrenia – si addormenta.
Un rollìo della nave lo sveglia improvvisamente: la poltrona a fianco alla sua è vuota.
Si alza, colpito da una scossa elettrica “Ma non si sarà mica buttato a mare quello stronzo?” ed esce al buio. Lo cerca per mezzora, bestemmiando lui e sé stesso, senza trovarlo. Alla fine si rivolge a un assonnato commissario di bordo, che lo guarda con commiserazione. Tutto il personale libero viene sguinzagliato per la nave e dopo due ore, quando sul mare inizia il chiarore del mattino, un marinaio lo trova sul ponte più alto, rannicchiato, circondato da decine di cicche di sigaretta gialle.



mercoledì 13 marzo 2019

E' USCITO!

Ogni tanto il lavoro è premiato.
Chi avrebbe mai detto che il mio "roman roman" avrebbe incontrato la benevolenza di un editore?
Eppure è successo...
Il 29 dicembre l'editore Fabrizio De Ferrari mi ha telefonato dicendomi che era interessato a pubblicare il mio romanzo...  Questo vuol dire finire l'anno a mille!

Ed ecco che adesso è finito, stampato nella sua carta odorosa, con quella bella foto del Flatiron di New York. Non ci credo ancora.

I miei lettori del blog hanno avuto qualche anticipazione nei post precedenti. C'è stata qualche modifica ma non sostanziale. L'eroina ha cambiato nome.
Chi vorrà potrà comprarlo direttamente al sito dell'editore:


https://www.deferrarieditore.it/prodotto/alicia-croft-la-sacca-pelle/


Questo libro è stata la cosa migliore che ho fatto nel 2018.
Il secondo è già pronto (è la raccolta del blog, riveduta e corretta minuziosamente) e, dato che ho un ego smisurato, vorrei proporlo a un grande editore, che ne so, Mondadori. Sognare è bello ed è lecito.

Sto già scrivendo il terzo: chissà che non riesca a scriverlo in minor tempo. E' una storia italiana, che si svolge nel 1971, a Milano. Una storia di persone e di ufficio.
Scrivere è veramente un grande divertimento, peccato che si debba anche lavorare!

Anche se non vi conosco tutti vi ringrazio uno per uno.

A presto.

euge




NAT E ECHO

Narciso, Nat per gli amici, stava facendo colazione al solito bar, prima di salire in ufficio con il caffellatte in mano. La barista, una delle sue beneficiate, prima del caffellatte gli faceva un uovo sbattuto col marsala siciliano. Non voleva essere pagata in dollari.
Nat era alto e magro ma non ossuto, con l'ombra della barba appena fatta su una mascella più che virile. Un sorriso ironico e accattivante. Un completo blu notte di fattura italiana. Un novello Eros sceso in terra per allietare le donne, consapevole di emanare tanto fascino quanta era la fragranza del profumo che usava.

Echo lo guarda rapita: non avrà mai un uomo così, anche se non ha ben chiaro cosa vuol dire avere un uomo. Non è brutta ma si considera insignificante. Vorrebbe raccontare a tutti quanto le piace il lavoro che fa, la custode del parco, ma non ne è capace. Tutto il giorno a contatto con la natura.
Seduta a un tavolino condivide con quell'uomo solo il caffellatte. Se lo mangia con gli occhi, e abbassa lo sguardo solo quando lui la fissa a sua volta. Ma un attimo dopo, appena lui volge lo sguardo, ricomincia, con la stessa intensità della luce di un faro che illumina il mare nella notte. Ma è lei ad essere abbagliata. Le basterebbe una carezza. Vorrebbe dirgli mille cose ma tace, impotente.
Lui è infastidito e inorgoglito. Come si permette quel ragnetto, con una divisa da spazzino, poi.... però è un pavoncello.
Il vecchio Nat, per gli amici, presto sarà il manager della ditta e tutto andrà per il giusto verso. Per ora deve ancora obbedire a quel rimbambito che, lo sa bene, lo ha già designato come suo successore. E a quel momento la pubblicità negli States prenderà una strada nuova, senza ritorno. Per adesso si contenta di fare il vice. E' certo che la cordata che ha scelto sia quella vincente: nella sua carriera non ha mai fatto un passo falso.
Echo torna a casa dal lavoro dopo aver chiuso i cancelli del parco. Racconta agli alberi e agli scoiattoli di quell'uomo bello come un dio greco, che la mattina risplende nel grigiore del bar, irradiando buonumore e simpatia. Gli scoiattoli riconoscono la sua voce e non scappano.
Un'ora di metropolitana per arrivare a casa e Echo si immerge nel bagno caldo dove, per quel poco che può, dà sostanza al desiderio che ha di quell'uomo. Con la mano appoggiata sulla clitoride pensa come sarebbe bello se lui si avvicinasse un giorno dicendole:
«Buongiorno, le lascio il caffè pagato»
«Non si disturbi»
«Per me è un piacere»
«Allora grazie, ma si sieda un momento»
«Il lavoro mi aspetta, ci vedremo stasera.»
E' sulla parola “stasera” che riesce a far coincidere quel colpo di tosse trattenuto che è il segnale del massimo piacere che è riuscita a ottenere dalle sue quattro ossa.
Passa ancora bagnata dalla vasca al divano e si addormenta nuda, sperando di sognarlo. Si accontenta.

Quella mattina Echo arrivò al bar un po' prima e dalla vetrata lo vide salutare una donna, che lo baciò schiacciandogli sul petto un seno che sarà stato il triplo del suo. Il caffellatte venne diluito dalle lacrime, ma quando lui entrò si era già ricomposta, pronta a ricominciare quel gioco innocente. Ma Nat quella mattina era più nervoso del solito e non appena incrociò i suoi occhi le andò incontro con aria cattiva.
La prese per un braccio e la trascinò fuori dal bar. La spinse contro il muro esterno del locale, quello che dava sul vicolo fra due edifici, e la tenne ferma con la mano sinistra. Echo era impaurita.
«Smettila! Cosa cazzo vuoi da me? Vuoi scopare? Vuoi che te lo metta in bocca? Levati dai coglioni brutta imbecille!»
Lui rientrò per pagare e andarsene di corsa. Lei si accasciò su sé stessa, scossa dai singhiozzi. Aveva ragione certo, ma poteva dirglielo diversamente.
Nat arrivò in ufficio imbestialito. Nel momento in cui lui, nel bagno del suo studio, strappava gli slip di dosso alla segretaria lei si lasciava scivolare dal ponte sul fiume, centododici metri di volo neanche durante i quali riuscì a gridare.