mercoledì 13 marzo 2019

NAT E ECHO

Narciso, Nat per gli amici, stava facendo colazione al solito bar, prima di salire in ufficio con il caffellatte in mano. La barista, una delle sue beneficiate, prima del caffellatte gli faceva un uovo sbattuto col marsala siciliano. Non voleva essere pagata in dollari.
Nat era alto e magro ma non ossuto, con l'ombra della barba appena fatta su una mascella più che virile. Un sorriso ironico e accattivante. Un completo blu notte di fattura italiana. Un novello Eros sceso in terra per allietare le donne, consapevole di emanare tanto fascino quanta era la fragranza del profumo che usava.

Echo lo guarda rapita: non avrà mai un uomo così, anche se non ha ben chiaro cosa vuol dire avere un uomo. Non è brutta ma si considera insignificante. Vorrebbe raccontare a tutti quanto le piace il lavoro che fa, la custode del parco, ma non ne è capace. Tutto il giorno a contatto con la natura.
Seduta a un tavolino condivide con quell'uomo solo il caffellatte. Se lo mangia con gli occhi, e abbassa lo sguardo solo quando lui la fissa a sua volta. Ma un attimo dopo, appena lui volge lo sguardo, ricomincia, con la stessa intensità della luce di un faro che illumina il mare nella notte. Ma è lei ad essere abbagliata. Le basterebbe una carezza. Vorrebbe dirgli mille cose ma tace, impotente.
Lui è infastidito e inorgoglito. Come si permette quel ragnetto, con una divisa da spazzino, poi.... però è un pavoncello.
Il vecchio Nat, per gli amici, presto sarà il manager della ditta e tutto andrà per il giusto verso. Per ora deve ancora obbedire a quel rimbambito che, lo sa bene, lo ha già designato come suo successore. E a quel momento la pubblicità negli States prenderà una strada nuova, senza ritorno. Per adesso si contenta di fare il vice. E' certo che la cordata che ha scelto sia quella vincente: nella sua carriera non ha mai fatto un passo falso.
Echo torna a casa dal lavoro dopo aver chiuso i cancelli del parco. Racconta agli alberi e agli scoiattoli di quell'uomo bello come un dio greco, che la mattina risplende nel grigiore del bar, irradiando buonumore e simpatia. Gli scoiattoli riconoscono la sua voce e non scappano.
Un'ora di metropolitana per arrivare a casa e Echo si immerge nel bagno caldo dove, per quel poco che può, dà sostanza al desiderio che ha di quell'uomo. Con la mano appoggiata sulla clitoride pensa come sarebbe bello se lui si avvicinasse un giorno dicendole:
«Buongiorno, le lascio il caffè pagato»
«Non si disturbi»
«Per me è un piacere»
«Allora grazie, ma si sieda un momento»
«Il lavoro mi aspetta, ci vedremo stasera.»
E' sulla parola “stasera” che riesce a far coincidere quel colpo di tosse trattenuto che è il segnale del massimo piacere che è riuscita a ottenere dalle sue quattro ossa.
Passa ancora bagnata dalla vasca al divano e si addormenta nuda, sperando di sognarlo. Si accontenta.

Quella mattina Echo arrivò al bar un po' prima e dalla vetrata lo vide salutare una donna, che lo baciò schiacciandogli sul petto un seno che sarà stato il triplo del suo. Il caffellatte venne diluito dalle lacrime, ma quando lui entrò si era già ricomposta, pronta a ricominciare quel gioco innocente. Ma Nat quella mattina era più nervoso del solito e non appena incrociò i suoi occhi le andò incontro con aria cattiva.
La prese per un braccio e la trascinò fuori dal bar. La spinse contro il muro esterno del locale, quello che dava sul vicolo fra due edifici, e la tenne ferma con la mano sinistra. Echo era impaurita.
«Smettila! Cosa cazzo vuoi da me? Vuoi scopare? Vuoi che te lo metta in bocca? Levati dai coglioni brutta imbecille!»
Lui rientrò per pagare e andarsene di corsa. Lei si accasciò su sé stessa, scossa dai singhiozzi. Aveva ragione certo, ma poteva dirglielo diversamente.
Nat arrivò in ufficio imbestialito. Nel momento in cui lui, nel bagno del suo studio, strappava gli slip di dosso alla segretaria lei si lasciava scivolare dal ponte sul fiume, centododici metri di volo neanche durante i quali riuscì a gridare.



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