Narciso,
Nat per gli amici, stava facendo colazione al solito bar, prima di
salire in ufficio con il caffellatte in mano. La barista, una delle
sue beneficiate, prima del caffellatte gli faceva un uovo sbattuto
col marsala siciliano. Non voleva essere pagata in dollari.
Nat
era alto e magro ma non ossuto, con l'ombra della barba appena fatta
su una mascella più che virile. Un sorriso ironico e accattivante.
Un completo blu notte di fattura italiana. Un novello Eros sceso in
terra per allietare le donne, consapevole di emanare tanto fascino
quanta era la fragranza del profumo che usava.
Echo
lo guarda rapita: non avrà mai un uomo così, anche se non ha ben
chiaro cosa vuol dire avere un uomo. Non è brutta ma si considera
insignificante. Vorrebbe raccontare a tutti quanto le piace il lavoro
che fa, la custode del parco, ma non ne è capace. Tutto il giorno a
contatto con la natura.
Seduta
a un tavolino condivide con quell'uomo solo il caffellatte. Se lo
mangia con gli occhi, e abbassa lo sguardo solo quando lui la fissa a
sua volta. Ma un attimo dopo, appena lui volge lo sguardo,
ricomincia, con la stessa intensità della luce di un faro che
illumina il mare nella notte. Ma è lei ad essere abbagliata. Le
basterebbe una carezza. Vorrebbe dirgli mille cose ma tace,
impotente.
Lui
è infastidito e inorgoglito. Come si permette quel ragnetto, con una
divisa da spazzino, poi.... però è un pavoncello.
Il
vecchio Nat, per gli amici, presto sarà il manager della ditta e
tutto andrà per il giusto verso. Per ora deve ancora obbedire a quel
rimbambito che, lo sa bene, lo ha già designato come suo successore.
E a quel momento la pubblicità negli States prenderà una strada
nuova, senza ritorno. Per adesso si contenta di fare il vice. E'
certo che la cordata che ha scelto sia quella vincente: nella sua
carriera non ha mai fatto un passo falso.
Echo
torna a casa dal lavoro dopo aver chiuso i cancelli del parco.
Racconta agli alberi e agli scoiattoli di quell'uomo bello come un
dio greco, che la mattina risplende nel grigiore del bar, irradiando
buonumore e simpatia. Gli scoiattoli riconoscono la sua voce e non
scappano.
Un'ora
di metropolitana per arrivare a casa e Echo si immerge nel bagno
caldo dove, per quel poco che può, dà sostanza al desiderio che ha
di quell'uomo. Con la mano appoggiata sulla clitoride pensa come
sarebbe bello se lui si avvicinasse un giorno dicendole:
«Buongiorno,
le lascio il caffè pagato»
«Non
si disturbi»
«Per
me è un piacere»
«Allora
grazie, ma si sieda un momento»
«Il lavoro mi aspetta, ci vedremo stasera.»
«Il lavoro mi aspetta, ci vedremo stasera.»
E'
sulla parola “stasera” che riesce a far coincidere quel colpo di
tosse trattenuto che è il segnale del massimo piacere che è
riuscita a ottenere dalle sue quattro ossa.
Passa
ancora bagnata dalla vasca al divano e si addormenta nuda, sperando
di sognarlo. Si accontenta.
Quella
mattina Echo arrivò al bar un po' prima e dalla vetrata lo vide
salutare una donna, che lo baciò schiacciandogli sul petto un seno
che sarà stato il triplo del suo. Il caffellatte venne diluito dalle
lacrime, ma quando lui entrò si era già ricomposta, pronta a
ricominciare quel gioco innocente. Ma Nat quella mattina era più
nervoso del solito e non appena incrociò i suoi occhi le andò
incontro con aria cattiva.
La
prese per un braccio e la trascinò fuori dal bar. La spinse contro
il muro esterno del locale, quello che dava sul vicolo fra due
edifici, e la tenne ferma con la mano sinistra. Echo era impaurita.
«Smettila!
Cosa cazzo vuoi da me? Vuoi scopare? Vuoi che te lo metta in bocca?
Levati dai coglioni brutta imbecille!»
Lui
rientrò per pagare e andarsene di corsa. Lei si accasciò su sé
stessa, scossa dai singhiozzi. Aveva ragione certo, ma poteva
dirglielo diversamente.
Nat
arrivò in ufficio imbestialito. Nel momento in cui lui, nel bagno
del suo studio, strappava gli slip di dosso alla segretaria lei si
lasciava scivolare dal ponte sul fiume, centododici metri di volo
neanche durante i quali riuscì a gridare.
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