Ho
appena finito di scopare. Veramente è stato un solo un tentativo.
Con la sensazione di sconforto che mi pesa sulle spalle come una
coperta militare, mi alzo. «Vado
a prendere le Marlboro».
Non
sopporto di vederle quel sedere e quelle gambe lardose, splendidi
solo per Rubens.
Non
dorme, fa finta, così non dobbiamo dirci nulla.
Mi
siedo in cucina appoggiando i gomiti sul tavolo di fòrmica e, intanto
che mi accendo la sigaretta, mi cade l'occhio sui margini sbeccati, come se
l'avesse rosicchiato un castoro. Tossisco più volte, e mi gira la
testa. Non sono felice né infelice, solo vuoto come un sacchetto
nero della spazzatura. Quelli grossi, in cui puoi anche infilare un
cadavere. Anche il fumo aumenta questa sensazione di assenza dei
sentimenti. Chissà se questa donna mi fruga nei cassetti del
comodino: un giorno o l'altro qualcuna di loro troverà la pistola e
ci faremo delle risate.
Lo
so che è pericoloso ma le raccatto lo stesso per la strada e me le
porto a casa. Loro vogliono soltanto denaro, io conferme. Cedono
un'ora di sé stesse: quello che io dico e faccio non gli interessa.
In genere non sono neanche belle, né affascinanti. Nemmeno un po'
carine.
Chissà
se quella di stasera mi ha dato il voto: è abbastanza educata da
non sentire la necessità di farmene parte. Io me lo do tutte le
volte. Oggi cinque meno ma nei mesi scorsi ho raggiunto anche la
sufficienza.
Il
mio desiderio erotico è inversamente proporzionale alla capacità di
praticarlo. E non è un esaurimento fisico, piuttosto la
consapevolezza che non c'è più niente di cui
si possa dire: «Guarda, questa è una novità». La Bibbia ha
sempre ragione.
Tristissimo.
Anche il dover cercare la novità in una donna sempre nuova ma
continuamente uguale a sé stessa. Una ricerca imposta dal desiderio
ma stroncata sul nascere dalla malinconia, dalla certezza di non
essere più capace a trovare “quella” novità.
Chissà
che voto mi avrebbe dato mio padre. Una bella testa d'asino a margine
del foglio del quaderno – un messaggio per il maestro - è il
ricordo più frequente. Stasera la potrebbe disegnare sul lenzuolo.
Non
riesco a convincermi che non si può ragionevolmente dire a un bambino “Quali
sono i tuoi bisogni emotivi?”. Lui era soltanto consapevole
del dovere di insegnare ciò che ciò che a lui avevano insegnato
come giusto, e ciò che non lo era.
Non
riesco a ricordare in lui, dopo quarant'anni che se n'è andato, un
momento in cui mi abbia dato quello che continuo a cercare. Soltanto
critiche, rimproveri, “voti”.
Anche
io ho avuto un figlio, e la promessa che mi sono fatto è stata
quella di essere per mio figlio un padre migliore di quello che lui è
stato per me. Che poi non era difficile, nelle intenzioni, sarebbe
bastato fare le cose al contrario di come aveva fatto lui.
Adesso
mio figlio ha l'età in cui potrebbe avere un figlio a sua volta, e
la domanda si rinnova: ma io son stato più buon padre verso di lui
di quanto lui, quello che porta il suo stesso nome, lo è stato verso
di me?
E'
una bella domanda, inutile come la masturbazione che sottende, perché
priva di risposta. Ciascuno dei tre partecipanti alla gara, lui, io e
il nipote, potrebbe dare risposte completamente diverse.
Lui
non risponde più e l'epoca in cui ha vissuto è lontana anni luce,
anche se i ricordi più lontani sono quelli più impressi. Il nipote
sembra sereno, o forse è solo ciò che mi auguro.
Io
resto in mezzo, a baloccarmi con queste stronzate.
Vado
a svegliarla. La mia oretta di svago non è finita, magari, con un
po' di impegno in più...
Nessun commento:
Posta un commento