giovedì 28 giugno 2018

Gilda


Quando in Istituto arrivava il momento della pausa pranzo Gray spariva per un'ora e andava a trovare la moglie del Rettore, che aveva conosciuto per caso a una festa dei diplomi.
Erano seduti vicini e lei, mentre il Rettore presentava i neodiplomati, gli aveva detto "E' mio marito!". Il dottor Gray, visto soprattutto il generoso decolletè, le aveva risposto "Un discorso splendido!", anche se non ne aveva ascoltato una parola. Era presente a quella festa soltanto per congratularsi con una giovane studentessa di colore a cui aveva dato alcuni chiarimenti per la tesi, oltre alla lettura finale. Era convinto che quella tesi non dicesse niente di nuovo ma il fondoschiena della ragazza lo aveva stregato. C'era anche stato un approccio che lo faceva ben sperare ma la ragazza era stata furba, fermandolo con decisione prima che le cose diventassero inevitabili. Dopo essere andato a farle gli auguri - lei lo presentò anche alla famiglia - portò un calice di champagne alla moglie del Rettore, approfittando di un momento che gli sembrava sola. Lui era dall'altra parte della sala, assediato dagli studenti.  "Grazie dottor Gray" "La prego, mi chiami Henry" "Anche tu, chiamami Gilda". Gilda, l'Atomica, Rita Hayworth. La chioma rossa era identica. "A noi" disse alzando il bicchiere "A noi". Gray la squadrò mentre sorseggiava. Non giovane ma ancora parecchio intrigante. Un seno generoso esposto senza pudore. "Cosa fai domani a pranzo, Henry?" "Il solito panino stantìo, direi" "Vieni da me. Ti farò conoscere l'insalata caprese. Ti piacerà" "Non potrò prima dell'una" "Perfect".
La mattina dopo Gray uscì prima dall'Università per andare da Van Leeuwen Artisan Ice Cream a Brooklyn. Gli avevano detto che era il miglior gelatiere di New York e voleva fare una bella figura. Infatti la torta gelato non era proprio a buon mercato ma quel giorno non voleva sembrare avaro.
Suonò il campanello della casa del Rettore, sulla 110a West. Vicino al lavoro, naturalmente. E se gli fosse venuto ad aprire il Rettore? Era questa la paura che gli aveva impedito di comperare dei fiori. O se fosse venuto più tardi? Nell'istante dell'attesa desiderò sparire. La possibilità di compromettere definitivamente la sua carriera accademica era reale. Le paure si dissolsero nel momento in cui lady Gilda aprì il portone "Accomodati Henry". Anche con la veste da casa il seno, prorompente, era largamente esposto. "Deve essere il suo orgoglio" pensò Gray "E anche la sua arma".
In casa non c'era nessuno, il personale di servizio usciva alle dodici e tornava alle diciassette.
Gray si era documentato sull'insalata caprese, per non fare la figura dell'ignorante in materia culinaria, e sapeva che, in un piatto composto solo da pomodoro e mozzarella italiani ciò che contava era l'eccellenza degli ingredienti. E il piatto che la donna gli portò era eccezionale. Pomodori giganteschi e carnosi "Li faccio venire da un paese piccolissimo della Calabria, Belmonte Calabro. Il suo terroir e il microclima sono unici al mondo. La mozzarella la faccio venire da Sperlonga, nell'Italia centrale, vicino a Roma. Con l'aereo e la confezione sottovuoto arriva in giornata in condizioni perfette. Il basilico viene da Sorrento e l'origano dalla Sicilia. Viene raccolto vicino al tempio di Segesta".Gray restò trasecolato dal sapore e dal racconto. Non osò immaginare il costo che questo piatto poteva avere. "Gilda, non so come ringraziarti. Mi hai portato qualcosa di così buono e così particolare che sono certo che non ne mangerò di simili in vita mia". Oltretutto la porzione era molto abbondante. Gilda gli sorrise con aria di complicità. "Vieni,dottor Gray": rimarcò il cognome con enfasi. "Andiamo a prenderci il caffé sul sofà". Chissà che fine aveva fatto la sua torta gelato. Anche il caffè era buonissimo: aveva un sapore particolare che Gray non aveva mai sentito. "E' il kopi luwak". Mentre sorseggiava il caffé Gilda gli posò una mano sulla coscia, nella metà più vicina all'inguine. Lui posò la tazzina e le accarezzò il seno, sfiorandole il capezzolo. "Vieni, voglio star comoda". Non aveva molto tempo, Gray, ma lo spese al meglio. Quando la donna lo vide senza slip, pronto, ebbe un fremito, pregustando l'attimo in cui, di lì a poco, sarebbe stato parte di lei. Le piaceva fare l'amore e quel cretino di suo marito, il Signor Rettore, sposato per convenienza di entrambi, non l'aveva mai capito. Raro e frettoloso. Assolveva a uno dei suoi tanti doveri senza alcun interesse. Senza gioia. Gilda aveva bisogno di ben altro. Era originaria dell'Ecuador, caliente.
La prima volta fu, per entrambi, un'esperienza meravigliosa; il fascino della novità, che nel giro di qualche mese si sarebbe smorzato. Gray le piaceva molto ed era certa di piacere molto anche a lui. Lo dimostrava la forza con cui la penetrava. Non si domandarono mai se fra loro ci fosse stato il sentimento dell'amore. Ne avevano paura, perché avrebbero dovuto comportarsi di conseguenza e cambiare drasticamente le loro vite. Cosa che non avevano alcuna intenzione di fare.
Si avvicinava il giorno del concorso per il posto di assistente di ruolo. Quando fu il momento Gilda, consapevole che non l'avrebbe più rivisto, gli disse soltanto "Stai tranquillo, Henry. Mi mancherai". Lui le diede l'ultimo bacio e la strinse forte a sé. Quel seno non l'avrebbe dimenticato tanto facilmente.
Per mesi si erano divertiti tutti i giorni.Si erano usati, consapevolmente, con grazia.



venerdì 8 giugno 2018

Sean e Gray

Gray abitava al terzo piano, senza ascensore e con scale buie. Sean si aiutò con la torcia del cellulare per trovare la targa sulla porta. Spinse il bottone del campanello per una frazione di secondo. Era atteso, la porta si aprì subito. Nella penombra riuscì a distinguere soltanto un uomo molto più alto di lui. “Sono Sean”. ”Entri, la stavo aspettando”. Gray si fece da parte e con un gesto amichevole lo invitò ad entrare. La luce era poca anche dentro, data da un paralume grigiastro appoggiato su una scrivania di legno. Si sentiva il brusio della radio accesa in un'altra stanza. Tutto era triste. Polverosi ritratti di donna erano appesi alle pareti di quell'ambiente che era un'entrata, uno studio e, vista la presenza di un divano di pelle sfondato, anche un soggiorno. Un odore di finestre chiuse da troppi giorni. Si sentì sfiorare una caviglia e fece un sobbalzo. “Non si preoccupi di Tobith, è solo affettuoso. E' il suo modo di conoscere e di presentarsi agli sconosciuti”. Sorrideva, un po' divertito. “Si accomodi. Caffè o birra?”. Si avvicinarono entrambi alla poca luce e Sean lo poté guardare meglio in volto. Capelli una volta rossi non tagliati da mesi e non pettinati, sporchi, due baffoni grigi, occhi opachi, un'aria depressa che contrastava con il tono amichevole che il Professore si sforzava di dimostrargli.
Anche il Professore scrutava Sean con curiosità e diffidenza, un bell'uomo, non alto ma atletico, ben più giovane di lui e con un'aria da volpe braccata da una torma di cani insaziabili. Chissà cosa cazzo aveva combinato: quella dello sfratto non se l'era certo bevuta... “Birra, grazie”. “Gelata, naturalmente”. “Naturalmente”.
L'ambiente era deprimente ma sembrava sicuro, ed era questo quello che Sean cercava.
Il Professore arrivò con due bottiglie di Budweiser. “Ne ho il frigo pieno. Beva liberamente”. E una birra ci voleva davvero: gli diede il rilassamento di cui sentiva bisogno. “Con le birre ci potremmo fare due spaghetti”. Gray voleva essere sinceramente amichevole e Sean non aveva mangiato tutto il giorno. La parola “spaghetti” gli ricordò il borbottio del suo stomaco. “Dipende” rispose ridendo, “Lei cucina bene? Io non sono capace”. “Vorrà dire che mi farà da secondo”.
Si spostarono nella cucina, non troppo pulita. “Il sugo di tonno le può andare?”. “Sarà perfetto”. “Allora incominci ad affettare questa cipolla”, e gli mise in mano un coltello che sembrava una baionetta. Era contento, Gray, cucinare solo per sé era sempre tristissimo. E Kate spesso lodava i suoi piatti. Un filosofo italiano, matto come un cavallo, gli aveva insegnato a fare il risotto e lo faceva spesso a Kate, che adorava quello con i funghi secchi.
“Da quanto conosce Corinnah?” chiese improvvisamente il Professore, aprendo con difficoltà la scatola dei pelati, anche essi italiani. “Da pochissimi giorni. Non credo di avere mai incontrato una donna così, eppure ho viaggiato a lungo. Donne ne ho conosciute e non mi sono mai lasciato sfuggire un’occasione. Ma è bastata una serata insieme per capire che avevo trovato la mezza mela da cui Zeus mi aveva separato. Il fatto che fosse la donna di mio fratello non mi ha certo frenato. Lui per un caso del destino me l'ha presentata e adesso penso che per lei potrei lasciare tutto, e scappare, insieme. Per provare a ricominciare...”.
Il Professore fu sorpreso da questa dichiarazione d'amore, e anche dalla citazione del Simposio di Platone, stimolate, a suo modo di vedere, solo da una mezza bottiglia di birra. Anche Sean era stupito di sé: si domandò se in quella birra Gray ci avesse messo il siero della verità.
Buttò gli spaghetti nell'acqua bollente e si finì la birra. Una mezzora sorprendente, passata a cucinare con uno sconosciuto.
Dopo mangiato tutti diventano più chiacchieroni.
“Io Corinnah l'ho conosciuta più di dieci anni fa. Sono stato il suo professore di storia della filosofia alla High School. Un'alunna di grande soddisfazione: vinse anche la borsa di studio per la Columbia. L'ho incontrata per caso ieri che correva in Central Park. E abbiamo ricordato i bei tempi...”. “Chissà come era Corinnah da ragazza” pensò Sean, e poi di accorse di averlo detto. “Non più bella di adesso. Solo più acerba...”. Sean invidiò il Professore: avrebbe voluto esserci anche lui a vederla ragazzina.