sabato 15 settembre 2012

Anna e Paolo

I
Anna Chiari era più che soddisfatta. Ottenere quella scrittura l'aveva definitivamente convinta che avrebbe potuto vivere solo di musica: avrebbe cantato al teatro Nuovo di Ferrara, un sabato sera ancora da definire del prossimo ottobre.
Anna cantava accompagnata soltanto da Paolo, che suonava il violino.
Aveva impiegato parecchio tempo a capire come avrebbe dovuto accompagnare la sua voce, forte e roca, una voce “nera”, senza dubbio, che per qualche aspetto ricordava quella di Nina Simone. Aveva provato con pianisti, sassofonisti, oboisti persino, ma solo cantando accompagnata dal violino di Paolo si sentiva sprofondare dentro un vortice, avvolta dalla musica.
Tanta era stata la gavetta, per strada e nelle piazze, nonostante il suo bel diploma di canto al conservatorio se lo fosse preso, e con la lode. Ma sfondare nella musica, figuriamoci nella sua particolare musica, era stato veramente difficile. Con quella scrittura poteva a ragione ritenersi una musicista affermata.
Paolo era il suo specchio musicale. Si erano conosciuti negli ultimi anni di conservatorio e fra loro c'era stato subito un flusso, da entrambi immediatamente percepito, e non solo dovuto alle cose che condividevano: Mahler, con le atmosfere sognanti che riusciva a creare, i Lieder di Schubert; sarebbero vissuti di pizza, potendo. E il primo film che avevano voluto rivedere insieme, il primo di tanti, era “Il Terzo Uomo”.
Anna e Paolo però non erano diventati una coppia, e naturalmente non vivevano insieme. Ma quella vita che era al di fuori del Conservatorio, prima, e delle tournée, dopo, entrambi non la consideravano proprio “vita”. Le loro case erano solo tane notturne, e come tutte le tane, frequentate in maniera saltuaria e lasciate a sé stesse.
Ogni momento della giornata era buono per provare una musica nuova, e una gioia antica, e il loro suonare insieme era diventato una specie di eco: bastava una nota semplicemente accennata sul violino, o dalla sua voce profonda, che questa diventava una nota sensibile e occasione per una sessione di improvvisazione, magari davanti a colleghi stupiti e invidiosi, soprattutto dell'esultanza che entrambi dimostravano.
Ecco perché quella scrittura a Ferrara l'aveva convinta, era diventata ormai una cantante, e la strada per diventare famosa era stata tracciata.
L'unico neo di questa vita in musica era che Paolo, che lei ben sapeva titolare e responsabile della precisa metà di quel successo, per il pubblico, così come per gli impresari, era solo una silenziosa spalla. Di questo lei ci faceva una malattia ma non era riuscita a cambiare la situazione, e spesso voleva pagarlo di più della metà di quello che lei incassava.
Fra loro non c'era amore fisico, né mai c'era stato qualche indizio, o preliminare, di amore fisico, ed entrambi, pur pensandoci ben di più di quel che è lecito aspettarsi, nascondevano a sé stessi questi pensieri, abilmente mascherandoli in sogni notturni indecifrabili. Può darsi che inconsciamente pensassero che il sesso fosse in contrasto con l'esercizio di una professione in coppia, fra l’altro una professione delicata come la loro, che da un momento all'altro poteva scomparire, per una sciocca malinconia di un pubblico maligno. Due sere col teatro vuoto e finisce tutto.
Dunque anche nell'eliminare il sesso dalle loro vite erano, in linea di principio, d'accordo.

La serata a Ferrara andò davvero bene. Teatro gremito e bis a volontà. La loro musica anche quella volta aveva fatto il piccolo miracolo, e le persone uscivano dal teatro cantandola e fischiettandola motivo per Anna di grande gioia.
All'una, dopo la doccia e mezz'ora di yoga, uscirono nella notte, cercando un posto per mangiare. Erano ancora lievemente eccitati, e affamati. Cercavano una buona pizza, magari con le verdure grigliate. E un filo di olio al peperoncino, altra passione che condividevano.

Piedigrotta è una nome di pizzeria molto inflazionato ma un’occhiata dal di fuori della porta a vetri, e il fatto che fosse a trenta metri dal teatro, li convinse a entrare. Non era un posto particolarmente brutto, anche se molto ordinario: tavoli con le tovaglie a quadrettoni rossi e bianchi, seggiole in plastica, il forno elettrico, non il massimo per la pizza. L'unica cosa che tirasse su il tono del locale era la cameriera ai tavoli. Una giraffa. Almeno uno e novanta, valutò Anna alla prima occhiata. E della giraffa aveva l'eleganza del portamento e del movimento. Sembrava che scivolasse, su quel linoleum. Una chiostra di denti bianchissimi, messa in evidenza dal sorriso della ragazza, spiccava sull'incarnato, nero come la notte più buia. Una tutsi, senza dubbio. Una cascata di treccine nere opache le colava sulle spalle lucide. E due gambe, appena coperte dalla divisa, che parlavano. Due gambe che a farcisi stringere sarebbero certo diventate una morsa.
Si sedettero al primo tavolo sulla loro destra, contro il muro. Solo altri due clienti erano presenti, due ragazzi che mescolavano i baci con i bocconi della pizza.
Anna parlava eccitata della performance di quella sera, rimarcando con puntigliosità le piccole imperfezioni scappate a entrambi ma Paolo la ascoltava con disattenzione. Quando la cameriera arrivò al tavolo Anna si accorse che Paolo sfoderò il più complice dei suoi sorrisi e ci restò molto male, anche se non fece una piega. Paolo continuava a parlottare con la ragazza, che a un certo punto scoppiò in una risata fragorosa. Anna li sentiva attraverso una cortina che le impediva di capire ogni parola. Capì che la ragazza si rivolse verso di lei e riuscì con difficoltà a mormorare: ”Per me una pizza margherita e una mezza minerale naturale, grazie”.
Cercava a tutti i costi di non farsi accorgere da Paolo di quell’accesso di gelosia, che “per contratto” non avrebbe avuto motivo di esistere, ma lui se ne era accorto. Erano entrambi imbarazzati e finirono le loro pizze in silenzio, con la scusa della stanchezza.
Nella sua stanza di albergo, con la televisione accesa, Anna rifletteva sul fine serata, domandandosi cosa significasse tutto ciò.
Sapeva bene che non sarebbe mai riuscita a parlare con lui. Sarebbe stato semplicissimo prenderlo un attimo da parte, in un momento favorevole, magari dietro le quinte prima di un concerto, e dirgli in tutta semplicità quello che lei desiderava, di essere una coppia. Non le sarebbero certo mancate le parole.
Quella solitudine notturna nelle stanze d’albergo le era diventata insopportabile.
Cosa ci sarebbe voluto per dire quelle quattro parole in croce?
Ci sarebbe voluta la capacità di immaginare che se avesse ricevuto un rifiuto non le sarebbe caduto il mondo addosso, cioè che questo rifiuto non avrebbe indotto una cascata di eventi dolorosi e terribili, fra cui la fine del loro rapporto professionale e l’annientamento del loro rapporto umano. Un disastro, un lutto. E solo il pensare a questi avvenimenti, le era intollerabile.
Oltretutto era lei la prima a comprendere che questo rifiuto era veramente poco verisimile. Sapeva di essere una bella donna, sicuramente molto piacente, con uno sguardo arricchito da due profondi occhi nocciola, un nasino appena accennato all’insù e due labbra che sembravano disegnate da Raffaello. Il tutto incorniciato da una lunga chioma con riflessi rossastri i cui spostamenti durante i concerti erano la delizia del suo pubblico, e lei, sapendolo, ne approfittava, mettendosi d’accordo in questo senso con il tecnico delle luci. Perché mai Paolo non avrebbe dovuto acconsentire con gioia alla sua proposta?
Anna aveva paura. Semplicemente una paura più forte di lei. Preferiva avvitarsi su sé stessa e sulla sua gelosia. Dopo avere alzato il volume della televisione abbracciò il cuscino e pianse.
La mattina dopo, verso le sei, dopo il commissario Pelle entrava nella pizzeria Piedigrotta, nella piazza del Teatro Nuovo, dove era stato trovato il cadavere di una donna di colore, tale Aisha Adadjan, immigrata dal Rwanda, del cui volto era stato fatto scempio.









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