martedì 14 maggio 2013

VECCHI


Era parecchio che non ci andava. Ettore si era tenuto quel piccolo desiderio per troppo tempo.
Un giro al Luna Park. Solo un semplice giro al Luna Park. A Pescara non era come a Roma, dove il Luna Park dell'EUR è permanente. A Pescara viene una volta all'anno, da inizio dicembre a più o meno metà gennaio.
Ogni anno si riprometteva di tornarci e ogni anno, quasi sempre per ottimi motivi, certo, si ritrovava al 10 gennaio sapendo che il Luna Park non avrebbe finito la settimana. E gli restava un discreto amaro in bocca. Sapore dell'infanzia, ma mica solo dell'infanzia.
Ricordava bene le numerose volte che c'era andato con papà. Solo un po' più grandicello si era accorto che anche a papà piaceva salire sulle attrazioni o parteciparvi, e che lo faceva non soltanto per accompagnarlo.
E mentre da piccolino quella presenza a fianco era lo sprone ad impegnarsi allo spasimo, ad esempio nel tiro all'orso con il fucile – orso che più che altro muggiva – pochi anni dopo l'averlo vicino lo riempiva di orgoglio.
Non ci sarebbero voluti tanti anni che quella presenza sarebbe diventata fastidiosa, sostituita, ma solo per l'adolescenza, dagli amici. Ricordava Ettore, molto distintamente, anche quel biglietto da 10, abilmente sfilato dal portafogli di papà, per pagarsi il Luna Park, andandoci quando e con chi avrebbe voluto lui. Aveva quindici stupidi anni.
Intanto la ruota girava del tutto inesorabilmente ed Ettore si era ritrovato in un batter d'occhi con i suoi, di figli, a recitare la stessa parte, per la quale si sentiva del tutto inadeguato. Motivo per cui, anche se non poteva sapere cosa avrebbero pensato i bambini, si adattò a farla, nello stesso modo in cui immaginava l'avesse recitata papà.
E il tiro all'orso mugghiante continuava a essere lì, gettonato specialmente da Robertino, che voleva continuamente gareggiare con lui. Lo metteva in piedi sul bancone e lo aiutava a sostenere il fucile, più lungo di lui. La bambina preferiva tirare le palline nella vaschetta dei pesciolini rossi, e non riuscendo a centrare il piccolo buco, si finiva inevitabilmente, per non farla lacrimare, col pesciolino rosso in mano, acquistato, non vinto, che mai era durato fino a Carnevale, anche quando la Pasqua era bassa.
Queste cose pensava Ettore dentro di sé.
E poi gli anni erano passati, i bambini cresciuti.
A lui era rimasta questa specie di voglia, di divertirsi in maniera spensierata al Luna Park, o almeno di far finta di divertirsi, ma se non altro farlo bene.
Il problema è che non puoi essere spensierato se i pensieri ce l'hai, specie se sono svariati. E fra l'altro non puoi farti un giro al Luna Park e andare sull'autoscontro da solo, non puoi scontrare i ragazzi. Nella migliore delle ipotesi ti prendono per un vecchio rimbecillito, nella peggiore per un maniaco. E non hai nessun bisogno di fare quattro chiacchiere in questura.

Nello stradone che porta al Luna Park, dopo una cert'ora, c'è la possibilità di avere compagnia a pagamento. Il sabato sera, anche dopo quell'ora, le attrazioni continuano a funzionare.
Irina, si chiama la ragazza. Con la minigonna anche la settimana prima di Natale. Mi fa malinconia e basta. Non suscita ancora altre reazioni. Concordiamo un compenso orario, ora in cui lei farà tutto quello che voglio io. Tre ore possono essere un buon inizio, per non stare solo. Dopo avere ricevuto il permesso del cosiddetto fidanzato torna da me e me la prendo sottobraccio. Avremo dieci minuti di cammino, dieci minuti per conoscerci.
E' rumena. Cerco di farla un po' raccontare, mi piace ascoltare i racconti. Ma ha una certa difficoltà con la lingua, no, non in quel senso lì. Con la lingua italiana.
Con l'intenzione maligna di farla spaventare la prima giostra che le propongo è l'otto volante, giro che lei sostiene con grande naturalezza, anzi, ne vorrebbe un secondo. E' per me che sarebbe troppo.
Entriamo allora in quella attrazione dove c'è un percorso da fare al buio, a piedi, con improvvise luci e rumori, e fili pendenti dal soffitto, e scheletri che compaiono all'improvviso, e spifferi gelidi. Dammi la mano Irina, e gliela prendo. Tutto devi fare, tutto quello che voglio. Si diverte la ragazza, forse non ha neanche vent'anni. E più lei si diverte e più io mi immusonisco, perché non riesco a divertirmi come vorrei.
Provo a trascinarla dal sempiterno tiro all'orso, forse è davvero lo stesso padrone di quando ero bambino. E sfoggio la mia abilità. 20 su 20, e poi 40 su 40. Grande Ettore. Batte le mani e ride divertita, mi dà persino un bacino sulla punta del naso. Sbaglio, e so il perché, ma le chiedo di provare anche lei. E la aiuto a sostenere il fucile, come facevo con Robertino, cosicché la posso abbracciare. Ma non ne azzecca uno. Ci viene regalato il mitico peluche, visti i denari spesi.
Irina, lo vorresti un krapfen? Quei bei krapfen il cui olio di frittura viene gelosamente tramandato da un anno all'altro? Perché no? Tre morsi, dicansi tre. La ragazza ha appetito, del resto le cosce non sono propriamente magre.
La imbarco infine in quella giostra costituita da piccole carrozze che girano in tondo, Avalanche express mi pare che si chiami, e durante il giro a un certo punto le vetture vengono ricoperte da un tendone che porta il buio. Tipica giostra da innamorati, è per questo che ci sono voluto salire.
Si diverte come una pazza, e la forza centrifuga me la spinge addosso. Approfitto del buio e le do un bacio, su una bocca in cui il sapore del krapfen e il profumo del rossetto di bassa qualità si mescolano. Tutto posso fare, ricordatelo. Mi restituisce il bacio con grande impegno. E' tenera Irina.
E' passata un'ora, la voglia di Luna Park me la sono levata. La riporto dal fidanzato.
Ho voglia di abbracciarla e lo faccio, stringendola con tutte le mie forze.
Domani è il mio ultimo giorno di lavoro.




1 commento:

  1. Questo racconto mi ha incuriosito dalla prima riga, volevo capire cosa avrebbe fatto Ettore. É bello lo spazio che dai ai pensieri dei personaggi, li rende vivi.
    Mi piace! Annalisa

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