mercoledì 31 luglio 2013

CAMBIAMENTI

Mio padre vuole a tutti i costi che vada ad aiutarlo in ristorante, e io non ne ho nessuna voglia. Non ho voglia di andare a scuola, non ho voglia di lavorare. Ho solo voglia di divertirmi, di uscire tutte le sere con i miei amici e di baciare tutte le ragazze che me lo lasciano fare.
Ma mio padre è pesante! Continua a dirmi che non combinerò mai niente di buono. Forse. Ma è certo che non voglio fare la sua fine, chiuso tutto il giorno a sudare fra il caldo di quattro fornelli, sempre arrabbiato.
Iersera è arrivato a casa più nero del solito. Ho sentito dalla mia stanza che parlava a mamma: "In tutto il giorno solo un cliente....", soliti discorsi, che non ce la fa a pagare la cameriera e tutti gli altri conti. Figuriamoci se io voglio fare quella vita! Ho ben altri progetti in testa, io.
Poco fa è venuto da me e, con un tono che non ammetteva repliche, mi ha intimato di andare al ristorante per tutta la prossima settimana, cosicché metterà a riposo forzato la ragazza, e non la paga. Se è per questo non paga nemmeno me. Ma, visti l'espressione e il tono, non ho avuto il coraggio di rispondergli qualcosa di diverso da "Sì".

E adesso sono qui, con la divisa da cameriere dai bottoni dorati, che mi fa ridere solo a vederla appesa alla gruccia, addosso sarà ancora peggio. La devo indossare solo durante il servizio, così non me la sporco.
Entriamo alle otto di questo lunedì mattina autunnale triste e grigio come il mio umore. Si incomincia a lavorare. Devo sbucciare dieci kili di pomodori: so come si fa, ma sono piccoli e sono tanti. Mi ci metto di impegno, se faccio una cosa la voglio fare bene, anche perché non sopporterei che lui mi trovasse qualcosa da ridire. E dopo i pomodori le patate, gli zucchini. Poi pulire i calamari, attività che odio perché ogni tanto ci trovo dentro un pesciolino, residuo dell'ultimo pasto della vita e mi impressiono da morire. Sono freschi però i calamari, papà è andato al mercato del pesce stanotte alle quattro. Questi pesci, cefalopodi dovrei scrivere, hanno un qualcosa di bello e di armonioso che va oltre la loro breve vita.
Papà ha già cominciato a cucinare, con un occhio su di me. E anche io lo osservo di nascosto, sospendendo per qualche attimo la mia attività, e mi rendo conto che non avrebbe mai potuto fare un mestiere diverso. Parla con sé stesso e con il cibo. Lo coccola mentre lo cuoce. Lo vede trasformarsi e ne gioisce. Anche una "semplice" salsa di pomodoro diventa per lui l'occasione per dimostrare il suo impegno e la sua bravura. Nella sua salsa di pomodoro tutto deve essere perfetto, anche il numero delle foglie di basilico. E la assaggia chiudendo gli occhi, cercando di capire, soltanto con gli occhi del cuore, se tutto sia davvero perfetto. In questi momenti sono orgoglioso di lui e del suo ristorante. Meno quando bestemmia a mezza voce e mi tratta come l'ultimo degli imbecilli. Se vuole lo chef sa esprimere un'ironia parecchio sferzante, e riesce con estrema facilità a farmi imbestialire. La cucina avanti a tutto, e immagino anche avanti a me.
Cerco di non pensarci, a questo padre-padrone, e affetto le zucchine cercando di non lasciarci l'unghia e il dito, come l'ultima volta.
Lavorando il tempo passa veloce. E' già arrivata l'ora di mettere i pantaloni neri, le scarpe nere e la giacca con i bottoni dorati. Preparo i tavoli. L'ultima volta che non ho messo il bicchiere del vino al suo giusto posto, cioè davanti alla punta del coltello e spostato un po' a sinistra, mi ha detto di tutto. Inevitabilmente ho imparato, a mie spese. Ma non è cattivo, intendiamoci: ogni tanto mi sento una carezza sul collo e, voltandomi, vedo che ha gli occhi lucidi. Chissà cosa gli frulla, per quel cazzo di testa brizzolata....
Tutto è pronto. La sala è a posto. In cucina la linea è OK. Mancano solo i clienti. Aspetterò quaranta minuti prima che arrivino, i miei primi clienti di questa settimana di passione.
Sono in due, un uomo e una donna. Lui è corpulento, con un'espressione sorridente, lei, più alta di lui, ha un cespuglio di capelli biondi che le incorniciano il viso, da cui spiccano due occhi profondamente neri. Si siedono a un tavolo rotondo, dietro una colonna, vicini al pass. Almeno cento anni in due. Vecchi, semplicemente. Ma sono clienti, e io devo sfoderare con loro il migliore dei miei sorrisi. Per fortuna non è difficile, perché mi trattano con gentilezza e sono simpatici. Gli porto la carta e vado a prendere il vino. Mentre torno con la bottiglia dello champagne in mano, ghiacciato si è raccomandato lui, li trovo abbracciati e, con le bocche saldate, si baciano come se non si vedessero da anni. Pensavo fossero due amici ma non direi proprio. Mi ricordano certi baci che davo a Giovanna l'estate scorsa. Per nulla intimiditi dalla mia presenza continuano a baciarsi con gli occhi chiusi. Che fare? Provo a raschiarmi la voce e allora lui apre un occhio, e si stacca dolcemente. Ma la mano gliela stringe sempre con tale forza che le dita di lei sono sbiancate. Gli faccio assaggiare il Cliquot: "Va bene", mi dice. Meno male, papà dice che spesso il Cliquot sa di tappo. Ma ho come l'impressione che anche se gli avessi servito Champagne marca "cesso" sarebbe andato bene lo stesso.
Prendo la comanda e appena mi volto sono di nuovo abbracciati stretti, si sono avvicinati persino le seggiole. Mi volto per pigliare il macinino del pepe, che non mi serve, e vedo le mani di lui che le accarezzano delicatamente i capelli. Per tutto il pasto sarà più il tempo che dedicheranno ai baci che quello destinato al mangiare.
C'è qualcosa che non riesco a capire. Ma non si vergognano? Fossero due ragazzi come me li capirei, ma sono due vecchi, queste cose non le dovrebbero fare. Certo, il cliente può fare tutto quello che vuole, ovvio. Ma io mi sento in grande imbarazzo.
Loro due invece, con il massimo della naturalezza, continuano a scambiarsi saliva imperterriti.
"Peccato di non avere nel ristorante un divano letto con tre paraventi", mi sorprendo a pensare, trattenendomi dal ridere ma senza riuscirci, intanto che rientro in cucina con i piatti vuoti. Papà, che mi ha letto nel cuore, avvicina l'indice della mano destra alle labbra. Silenzio vuole. Ma sorride anche lui.
Gli porto infine il dessert. E lui le sta baciando la punta del naso. Lei ha un'espressione di felicità assoluta, mi fa pensare che si prenda tutti quei baci e se li conservi nel cuore. Sono felici, e a un tratto non li vedo più come due vecchi ma solo come due persone senza età, che vogliono solo scambiarsi il loro bene nel mio ristorante.
Oddio, sono bastati due sconosciuti e ho detto "il MIO ristorante", anche se è grazie a papà che questo ristorante ha qualcosa di magico.
Non posso lasciar perdere questa magia. Ho cambiato idea. Voglio lavorare qui.
Quando escono, in fretta e furia perché per loro deve essere tardi, la aiuto a infilarsi il cappotto e le mormoro titubante "Vi aspetto presto nel nostro ristorante". E il suo "certamente" è una promessa.




1 commento:

  1. Riesci molto bene a rendere il punto di vista e il modo di esprimersi di un narratore giovanissimo. Ma dove trovi tutte queste idee per le trame delle tue storie? Annalisa

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