martedì 23 febbraio 2016

BIGLIETTI

Clara si era seduta forse per la quarta volta: prima il telefono, poi il portiere, infine la sua amica del cuore che era passata a salutarla. Si erano tutti coalizzati nell'impedirle di fare l'unica cosa che quella mattina avrebbe voluto fare, anzi, che sentiva di dover fare.
Si promise che non avrebbe dato risposta più a nessuno e si sedette, finalmente tranquilla anche se col cuore in tumulto. Tirò fuori dal cassetto il blocco della carta intestata e incominciò a scrivere. Dopo tre righe strappò il foglio e incominciò a ridurlo in piccolissimi frammenti, tali da non poter mai essere ricostruiti.
Si fermò un attimo a riflettere, con la testa appoggiata sulle mani. Cosa sapeva in fin dei conti di quell'uomo? Poco davvero, molto meno di quello che, da quando si erano conosciuti, si sarebbe ragionevolmente aspettata di sapere.
E adesso aveva deciso di scrivergli. Un biglietto, due righe, una lettera d'amore, comunque qualcosa di scritto, di duraturo quindi, che era niente di più di una dichiarazione di resa incondizionata a quel qualcuno che le aveva cambiato la vita.
Ancor'oggi, dopo tre mesi, non sarebbe stata capace di dire che cosa era stata a farla impazzire dal desiderio, non l'aspetto, ovviamente, e neanche quel suo atteggiamento, un misto fra non curante e arrogante, ma ben miscelato. Quando lui parlava qualunque cosa dicesse, fosse anche la lettura ad alta voce dell'elenco del telefono, a lei si inceppava il flusso dei pensieri. E Giorgio non ci impiegò più di due appuntamenti per capirlo, approfittandosene nella maniera più naturale. Parlava poco, il bel Giorgio, ma una sua carezza valeva quanto un discorso. Clara gli si diede con passione irrefrenabile.
E adesso si trovava seduta alla sua scrivania, libera e tranquilla, cercando di raccogliere i pensieri e di scriverglieli.
Panico del foglio bianco.
"Caro amore...", e il foglio fece la medesima fine del suo predecessore. Amore era una parola che in quel mese non era mai stata pronunciata da entrambi, sarebbe suonata come i tasti di un pianoforte non suonato da tanti anni, perlomeno stantia.
Provò a versarsi da bere, a mezzogiorno l'aperitivo ci può stare. Tre dita di Bourbon whiskey, senza ghiaccio e tutto di un fiato. Glielo tolse il fiato, appunto. Nel risedersi alla scrivania per un attimo vide due fogli bianchi. ma ricominciò fiduciosa.
"Giorgio", virgola e accapo. La parola restò sola sul foglio per alcuni minuti. "Ma poi, perché voglio scrivergli? Cosa ci sarà mai da dirgli che non posso dirgli a voce?" Così pensando si tormentava la pellicina dell'unghia dell'indice, e non fu soddisfatta finché un bruciore intenso le segnalò l'uscita del sangue.
Quell'uomo non parlava, e lei avrebbe voluto rovistargli nel cuore. Mai le era successo di desiderare di portarselo via, e di passare il resto della vita accoccolata fra le sue braccia. Ovviamente lontano da tutto e da tutti. Non è che si sentisse innamorata, almeno non come lo era stata nel passato (o forse semplicemente non ricordava bene), lo voleva e basta. Ma non si può volere un'altra persona solo per sé senza che questa sia d'accordo, o perlomeno che sia a conoscenza di questa nuova intenzione della tua vita.
"Giorgio,
c'è voluto meno di un mese per aprirmi gli occhi. Averti conosciuto ha cambiato tutte le prospettive della mia esistenza. Non credo di poter più fare a meno di te, non voglio. Se anche per te è così, così come io sento che sia (e qui Clara capì di essersi scoperta troppo) vediamoci domattina per colazione, al nostro bar. Lasciamoci dietro tutto. Corriamo incontro alla felicità".
Firmò "Clara" facendo un ghirigoro con lo svolazzo, che non aveva mai usato, e che strideva con la sua grafia regolare, minuta, ordinata, usata per il resto della lettera. Giorgio avrebbe dovuto capire che l'aveva fatta impazzire.
Posò la stilografica e rilesse, intanto che l'inchiostro asciugava. Piegò il biglietto in due e lo imbustò. Leccò la parte gommata della busta ela chiuse. Le scappò di baciarla, del resto era sola.
Aveva procurato di restare in casa sola, quella mattina, per cui quando squillò il campanello dovette alzarsi per andare ad aprire, bestemmiando fra i denti. Era il postino, con un pacco di libri contrassegno che aveva ordinato suo marito: dovette andare a prendere il denaro in cassaforte, non poco. Si fece posare il pacco sul pavimento e intanto se lo rimirava. Bel ragazzo, non c'è che dire. Fare l'amore con uno sconosciuto, ancorché piuttosto pericoloso, e perché non il postino, era una delle sue fantasie più ardite. Gli mise in mano, con fare indifferente, una banconota da venti, solo per vedere i suoi occhi illuminarsi. Cosa che puntualmente avvenne, col giovinotto che usciva camminando all'indietro e profondendosi in inchini.
Tornò alla scrivania, dove aveva lasciato il cuore.
Possiamo facilmente immaginare il suo disappunto nel non vedere la busta sulla scrivania, dove l'aveva posata tre minuti prima. Il cuore incominciò ad accelerare fino a farsi sentire , subito sopra lo sterno, con colpi sordi e vigorosi. Con il braccio spazzò via tutte le cose che erano sulla scrivania, e il portapenne di cristallo cadendo per terra si ruppe.
Càlmati Clara, sei sola in casa, salterà fuori.
Clara non aveva mai sopportato il fatto di non essere in grado di capire quello che stava succedendo, come adesso. A suo tempo aveva letto, e meditato, i libri del dott. Freud, e sapeva di avere riposto il biglietto da qualche parte senza rendersene conto. Ma dove? Suo marito sarebbe tornato in serata, quindi aveva, teoricamente, tutto il tempo per trovarlo.
Incominciò sistematicamente a svuotare tutti i cassetti della scrivania, cosa che non faceva da tempo. Quanta roba avrebbe dovuto buttare via! Cose che un tempo dovevano essere state un ricordo a rivederle adesso non le dicevano niente, e la tristezza di questa costatazione la indusse a cestinare tutto, con astio.
Comunque niente.
Ispezionò tutti i ripiani della libreria per vedere se avesse posato la busta davanti a qualche libro. Anche lì niente.
Incominciò a pensare a suo marito con quel biglietto in mano. Non era neanche un biglietto ambiguo, non avrebbe potuto giustificarsi arrampicandosi sugli specchi con frasi tipo "E' soltanto un gioco". Sarebbe stato soltanto un insulto all'intelligenza di lui. Il fatto che avrebbe potuto essere letto dai suoi figli per fortuna non le venne neanche in mente, le avrebbe scatenato un attacco di panico, mentre il quel momento aveva bisogno di tutta la lucidità possibile.
Pensò di chiamare la domestica per farsi aiutare nella ricerca ma scartò subito l'idea. Quella strega, non oca, avrebbe capito immediatamente l'importanza del biglietto e non avrebbe esitato a metterselo in tasca. Per poi sputtanarla, o peggio ricattarla. No, meglio fare da sola.
Le era venuto il mal di testa, lo stress, per cui si prese un'aspirina.
Si sedette sulla poltrona e incominciò a riflettere: del resto era una donna intelligente, avrebbe potuta farcela, ragionandoci sopra a mente fredda. Ripercorse tutti i movimenti che aveva fatto dalla squillo del campanello, maledetto lui e il postino. Niente.
Cercò di guardarsi intorno con occhi "nuovi".
Niente.
Iniziò a piangere con rumorosi singhiozzi, tanto era sola....
Si sentiva spacciata.
Non sappiamo per quanto tempo pianse, anche se il cielo si era oscurato e la pendola nell'ingresso aveva suonato più volte. Alzandosi per accendere la luce, e continuare la ricerca, diede inavvertitamente un calcio al cestino delle cartacce, che rovesciò il suo contenuto per terra.
Tornò a sedersi, non piangeva più. Le cadde l'occhio sulle cartacce, sparse per terra, quasi in fila. E lo vide. Un frammento di quella busta giallina, e vicino gli altri tre. Verificò che dentro ciascuno avesse il suo brandello di biglietto.
Diede fuoco a tutto nel portacenere e in quel filo di fumo puzzolente si sciolsero i suoi sogni. 



 

Nessun commento:

Posta un commento