venerdì 14 settembre 2018

Tom e Scarlett

Tom restò per un attimo a bocca aperta. Non ci credeva, non poteva essere possibile. Non capiva come fosse possibile. Non era mai successo e avevano fondato tutta la loro vita sul fatto di essere soltanto in due. Niente pannolini.
«Ma è meraviglioso!» balbettò.
«Sai che io sono precisa come un orologio svizzero.»
«Sono felice» le disse, dandole improvvisamente le spalle.
Questo cambiamento, inatteso, lo irritava.
Fino a quel giorno avevano girato in lungo e in largo il Midwest, con quella macchina un po' scassata, la “loro” macchina. Tom era un rappresentante di amido per il bucato e, se voleva guadagnare qualche dollaro doveva girare senza posa. Tanti kilometri tanti dollari. Scarlett si era adattata a quella vita vagabonda, l'aveva fatto con amore. Stare in macchina tutto il giorno aveva il suo fascino, fatto di libertà e di lunghe strade vuote.
Scarlett era il soprannome che le aveva dato lui la prima volta che l'aveva vista uscire da scuola, con un rossetto di un colore così acceso che l'aveva fatto fremere di desiderio. Avevano tutti e due tredici anni.
L'ostetrico a cui si rivolsero aveva l'aspetto e i modi di un veterinario ma fu il primo che trovarono. La visitò con così poco garbo che la fece gridare: Tom gli avrebbe tirato due ceffoni. «Cara Signora, per la conformazione del suo utero le consiglio vivamente un riposo assoluto. Per lei il rischio di abortire è alto.» Uscirono dallo studio piangendo: questa notizia mandava a monte tutta la loro vita. E anche i venti dollari che avevano dovuto sborsare non li avevano messi di buon umore.
Si trattava di trovare un albergo, perché non avevano una casa: la macchina era la loro casa. Lui avrebbe continuato a girare in macchina, ancora di più, per poterle pagare la stanza.
Scarlett continuava a piangere in silenzio. Aveva una voglia terribile di una Camel senza filtro ma il medico era stato categorico: «Le sigarette le dimentichi.» Si era dimenticato, forse, di dirle che anche l'alcool fa male al feto.
L'albergo lo trovarono nel Nebraska, a Battle Creek. Il Norfolk Country Inn non era una topaia ma aveva comunque un sentore di tristezza. Poco meglio di un motel. Appena entrato Tom notò sul copriletto una bruciatura di sigaretta. L'odore delle camere era quello dell'insetticida. Una televisione su di un tavolino ai piedi del letto matrimoniale, troppo piccolo. Un bagno angusto, con mattonelle bianche opache. La prima notte dormirono insieme, dopo aver comperato una cassetta di birra ed essersela finita, una bottiglia dopo l'altra, guardando il David Letterman Show. Non ebbero rapporti sessuali, cosa per loro abbastanza inconsueta.
La mattina dopo Scarlett fu svegliata dalla luce che filtrava dagli avvolgibili. Lui era già uscito, evitando a entrambi un saluto spiacevole. Sapeva che per qualche giorno non l'avrebbe rivisto e pianse, ancora coricata. Si alzò per andare a cercare una birra.
Nello specchio del bagno, nuda prima di entrare nella doccia, si guardò di sfuggita. La rotondità della gravidanza non si vedeva ancora.
Uscì dalla camera con indosso solo l'accappatoio, e un asciugamano verde avvolto sulla testa a mo' di turbante. Gli occhi, di quello stesso colore, brillavano sul viso candido. Albrecth, l'albergatore, ne fu impressionato.
Aveva ereditato l'albergo dal padre, che negli anni dieci era emigrato in America dalla Germania, con l'illusione di trovarvi una vita più agiata. Dopo trenta anni passati in quell'albergo, e facendovi tutte le mansioni possibili, il proprietario, non avendo nessun erede, glielo aveva venduto per una cifra simbolica: era contento che il suo albergo non finisse in mani estranee. Il padre di Albrecht aveva continuato a fare la stessa vita, ma da padrone. Ma per poco: dopo pochi mesi era morto, lasciando tutto a quello scioperato del figlio.
«All'una le serviremo il lunch in sala da pranzo» le rispose. «Gradisce qualcosa di particolare?»
«Una bistecca con patate. E la birra.»
La bistecca gliela aveva consigliata l'ostetrico.
Quel giorno era l'unica cliente e Albrecht aveva notato che l'uomo che era arrivato con lei se ne era scappato prima delle sette. Appetibile, anche se il voluminoso accappatoio di spugna ne confondeva le linee del corpo. Chissà se aveva i capelli rossi. Le sarebbe saltato addosso subito ma decise che ci avrebbe provato dopo il lunch. Poteva anche essere una conquista molto agevole.
«Prego, si accomodi» le disse quando arrivò in sala, e le spostò la sedia per aiutarla a sedere. Un paio d'anni di scuola alberghiera li aveva fatti, prima di farsi cacciare, e aveva imparato che fare il cameriere è prima di tutto essere accogliente con i clienti. Con le clienti.
Finita la bistecca, mentre lei si alzava per andare al banco del bar a prendere un'altra birra, lui le sfiorò un seno con l'avambraccio peloso, con un gesto insieme malizioso e noncurante. Scarlett ne fu turbata: non le era mai successo che un altro uomo le dimostrasse interesse: era sempre con Tom. Decise che al prossimo gesto analogo uno schiaffone sarebbe stat risposta adeguata. Figuriamoci se poteva permettere a quel giovanotto alto e biondissimo – non sembrava neanche un americano - di prendersi certe libertà. E poi, non in quello stato.
Ci volle un mese, per accoglierlo nel letto, una sera che aveva bevuto troppa birra.
Tom in quel mese si era fatto vedere solo due volte. Tutte e due le volte il sesso fra loro era cambiato. Lei pensava che lui, consapevole del suo stato, fosse diventato più delicato. Lui aveva perso ogni interesse: il silenzio fra loro lo testimoniava. Tom aveva bisogno di scopare quasi ogni giorno: era per lui una valvola di scarico. Aveva infatti frequentato un sacco di prostitute e aveva fatto anche dei paragoni. Alcune a letto erano certamente meglio di Scarlett. Era arrabbiato, perché quel figlio li aveva distaccati nella loro intimità. Ma non era stato capace di parlarle. Anzi, credeva che i cambiamenti che aveva notato nel comportamento di lei fossero dovuti alla consapevolezza di portarsi dentro un figlio loro.

I giorni e i mesi si trascinavano.
Albrecht e Scarlett erano diventati una coppia e vivevano nell'appartamento del padrone. Raramente Tom tornava, sempre più assente e svogliato.
La pancia cresceva e Albrecht credeva che quel figlio fosse il suo. Gli sembrava che fosse l'unica cosa buona che aveva combinato nella vita. Gli ultimi tempi le faceva tutto – come suo padre – il cuoco, il cameriere, l'uomo delle pulizie. La toccava raramente per paura di nuocere al bambino, limitandosi a masturbarsi accanto a lei, accarezzandola in mezzo alle gambe. Lei era assente.
Pensava continuamente di aver sporcato il figlio con lo sperma di uno sconosciuto, mescolandolo più volte con quello del vero padre. Questo figlio avrebbe dovuto avere anche qualche cosa di Albrecht.
«Scarlett, dobbiamo andarcene,» le disse una sera, prima di coricarsi accanto a lei. «Non voglio più fare questa vita. Ho venduto l'albergo e ho i soldi in banca. Domani alle otto partiamo.»
«Me lo aspettavo.»
Si ritornava in macchina.
Si domandò se lo amava, almeno quanto aveva amato Tom, e come sarebbe stato averlo accanto tutta la vita. Finendo la lattina di birra pensò che anche il bambino avrebbe potuto essere un piacevole diversivo.
«Dammi un'altra birra.»
Il giorno che Ton sarebbe arrivato, chissà quando, non l'avrebbe più trovata. Tutto qui.
La macchina di Albrecht non era né nuova né comoda: ogni asperità della strada la sentiva sulla schiena con una fitta dolorosa.

Tom stava tornando a Battle Creek. Aveva deciso di parlarle, ma non sapeva ancora cosa le avrebbe detto. Forse di tutte le prostitute che aveva conosciuto. Forse che voleva provare a ricominciare, in tre. Forse che aveva deciso di lasciarla per sempre e continuare la vita randagia del commesso viaggiatore. Solitario puttaniere.
Aveva bisogno di parlarle: sapeva che le parole giuste sarebbero spuntate da sole sulle sue labbra.
Arrivò che loro erano appena andati via: il portiere dell'albergo gli disse di essere il nuovo proprietario. Per un attimo Tom ebbe la sensazione di essere caduto in un universo parallelo.

Dopo un giorno di viaggio a Scarlett le si ruppero le acque. Era già buio.
«Mi sono pisciata addosso»
«Ma come?»
«Come credi che sia successo, idiota! Trovami un ospedale che ho un mal di pancia terribile.»
Albrecht considerò che l'ospedale più vicino era il Good Samaritan di Kearney. Una ventina di miglia, mezzora.
«Sbrigati! Corri!!»
Lui accelerò. Non voleva che partorisse in macchina.
Avrebbe dovuto cambiare la lampadina del faro destro della macchina ma non aveva mai tempo. Accelerò ancora, lei mugolava dal dolore.
Non prese bene una curva a sinistra, perché la vide all'ultimo momento. La macchina finì nella scarpata. Si fermò, accartocciata, dopo aver rotolato per un centinaio di metri. Non avendo la cintura di sicurezza lui morì sul colpo. Lei si fratturò il cranio ma non morì subito: rimase in coma per qualche ora.
Quando trovarono la macchina, il mattino dopo, erano entrambi morti. Lei aveva fra le gambe un neonato che aveva ancora un soffio di vita.
Tom lo venne a sapere ma non andò mai a reclamarlo.
Il bambino, istupidito da tutte le birre che la madre aveva bevuto, visse inconsapevole di sé e dei suoi genitori, in un ricovero per cerebrolesi.
In macchina Scarlett aveva deciso di chiamarlo Albrecht.

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