giovedì 3 gennaio 2013

Anna e Paolo 2: il commissario Pelle


Il Commissario Pelle non sopportava quelle sveglie improvvise, quelle telefonate nel mezzo della notte che gli ricordavano quella ricevuta dall’ospedale, quando suo padre era morto.
Per cui arrivò sul luogo dell’omicidio incazzato e isterico. Farina, il suo assistente, caì al volo che non era il caso di contrariarlo: il Dottor Pelle in fin dei conti era un buon cristo e un apprezzabile superiore.
Era un ometto troppo grasso per essere alto soltanto un metro e sessanta, con una vistosa pelata incorniciata, solo dal di dietro, da una banda di capelli nerissimi e ricci spessa due dita, e con due baffoni a cespuglio, corvini anche loro. Gli occhi, azzurri come il cielo, erano poco verosimili, tanto che i suoi colleghi pensavano che Pelle si tingesse i baffi e i (residui) capelli. Il suo problema era solo l’avvicinamento inesorabile del giro vita all’altezza, che ne faceva sostanzialmente un cucciolo di leone marino, un’otaria baffuta.
Incontrandolo per la strada non poteva non indurre al sorriso. Del leone però aveva il carattere e il segno zodiacale, e ben lo sapeva chi,per propria sfortuna, aveva dovuto subirne l’interrogatorio, feroce. Pelle portava un vecchio basco comperato a Genova e un cappotto grigio logoro e con il 50% dei bottoni, per cui a vederlo girare di prima mattina non dava certo l’idea di essere uno dei più fini segugi della Polizia di Ferrara. Sembrava piuttosto un barbone, accompagnata in caserma da un agente in divisa, che invece era il suo assistente. Pelle sapeva benissimo qual’era l’impressione che dava il suo aspetto, cionondimeno lo coltivava e in un certo senso se ne gloriava.  Era mancino e, per sua fortuna, era sempre stato assecondato in questa sua differenza: lui riteneva, non senza qualche ragione, che avere l’emisfero cerebrale destro dominante lo potesse aiutare a capire quello che passava per la testa degli umani, che poi era proprio il suo mestiere.
Si riteneva un bravo cuoco, e quindi era del tutto rassegnato a quell’impressionante giro vita. Con suo hobby allestiva cene per intimi amici, non meno di venti per volta, che si trasformavano in saturnali.
Detto questo è ben facile immaginare che anche lui lavorasse per la pagnotta, come tanti, e coltivava il sogno di un ristorantino con venti sedie, non una di più.
Pelle voleva bene a Farina, cionondimeno quando era incazzato anche Farina doveva starsene a distanza di sicurezza, perché se no le grida si sentivano da un piano all’altro della caserma.
Quella mattina era comunque di umore pessimo, per la levataccia e per la digestione nulla delle trenta acciughe ripiene della sera precedente; eppure si era bevuto una bottiglia di Traminer, tutta, per digerire bene.
Entrò dentro la pizzeria, abbagliato dalle luci accese. Sul fondo, vicino al bancone del pizzaiolo, era disteso per terra a coprire il cadavere un lenzuolo, troppo piccolo, dal quale spuntavano a un’estremità caviglie e piedi, nerissimi. Due belle caviglie e due bei piedi, ancorché di  taglia superiore al 40, dentro scarpe nere senza tacco, non prive di una certa eleganza, notò Pelle.
Si guardò intorno: una pizzeria come tante altre, forse un po’ deprimente per il troppo neon. Qualche seggiola per terra, lo spigolo del bancone del pizzaiolo sporcato di sangue.
Pelle prese un angolo del lenzuolo e lo spostò il più delicatamente possibile, per scoprire completamente il corpo. Il volto era tumefatto e coperto di sangue, un’orbita apparentemente svuotata, alcuni denti rivolti all’indietro. La fisionomia della donna non era più riconoscibile. Pelle ebbe un senso di sconforto, pensando alla ferocia che si era accanita su quel volto, ferocia senza senso. Il resto del corpo, invece, non presentava segni di violenza, almeno a un primo esame. Sembrava una donna giovane, con un gran bel corpo, un bel seno e due bellissime gambe, vestita con una divisa da lavoro che finiva ben al di sopra del ginocchio. Con la stessa delicatezza Pelle rimise a posto il lenzuolo: rispettava i morti, chiunque fossero stati, figuriamoci quella povera ragazza.
Si sentiva uno straccio. Fece chiamare la scientifica.
Si allontanò di qualche metro e si mise a sedere a un tavolo, per interrogare il patron della pizzeria, che aveva trovato la ragazza. “Per favore mi porti subito qualcosa da bere” fu la prima frase di Pelle. L’uomo, sorpreso, rispose però con grande prontezza “Stravecchio?” “Perfect, ma porti la bottiglia”.  L’uomo andò al bar, prese la bottiglia e un bicchiere e tornò a sedersi. Pell esi era già acceso la sigaretta, incurante dell’assenza del portacenere sul tavolo. L’uomo si rialzò e andò a prenderlo.
L’interrogatorio, ma non era un interrogatorio, fu breve. L’uomo raccontò che la ragazza era un’emigrata dal Rwanda, da molto in Italia e con i documenti in regola. Lui l’aveva assunta da pochi mesi e le aveva dato in affitto il bilocale sopra la pizzeria, scalandolo dallo stipendio, s’intende. La ragazza era cameriera e donna delle pulizie, e questo spiegava la sua presenza nel locale alle sei del mattino. I pasti li consumava lì in pizzeria. Giorno di libertà: il mercoldì, giorno di chiusura della pizzeria. Lamentele: nessuna. Cosa facesse il mercoldì a lui non era dato di saperlo. Uomini: mai visti.
Pelle lo interruppe chiedendogli se fosse sposato “certo, con tre figli di 5, 4 e 3 anni”, rispose con malcelato orgoglio. Pelle avrebbe anche voluto chiedergli se aveva la televisione in casa ma era sicuro che non sarebbe stato capito.
Quello che gli interessava vedere l’aveva visto e quello che voleva sapere l’aveva saputo. Era già sicuro che quello era un delitto commesso da uomo o donna che dieci minuti prima di farlo non ci pensava nemmeno. Ci doveva essere stata una scintilla.
Gli chiese infine, spegnendo col pollice la terza sigaretta, chi fossero gli avventori della sera precedente. L’uomo ricordava una comitiva di una ventina di ragazzi, una terza media a occhio e croce, arrivati presto e andati via presto. Poi, sul tardi l’uomo ricordava una coppia di adulti, ben vestiti, forse usciti dal teatro. Lei era molto bella,  rossa di capelli. L’uomo ricordava bene che, entrati entrambi di buon umore e sorridenti, uscirono immusoniti, forse perché l’uomo aveva rivolto un complimento di troppo ad Aisha. Di tutto ciò Pelle prese nota diligente.
Erano arrivate le 9. “Farina! Andiamo a fare colazione!” gridò Pelle, alzandosi e infilandosi il cappotto. Il primo caffè del mattino lo pagava sempre lui.

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