martedì 1 gennaio 2013

Fontane


Giannino era contento da morire quando gli dissero che sarebbe andato dalla zia Angela. Non succedeva spesso ma quella volta mamma e papà si erano, finalmente, decisi a fare quel famoso “viaggetto” in Costa Azzurra, che poi sarebbe durato un paio di settimane. E quindi, per custodire il Killer, si erano rivolti ad Angela, cugina prima di mamma, donna minuta ma volitiva, mite nell’apparenza ma ferrea nelle decisioni. Temporaneamente sola, pertanto ottima per tenere a bada il Delinquente, provare a fargli fare qualche compito, insegnarli un po’ di educazione. Oltretutto cuoca raffinata, e con gran gusto estetico per i piatti da portare in tavola.
La casa della zia Angela era a un dipresso dal mare e lei contava di stancare la Belva con lunghi bagni mattutini, così da potersi godere almeno un paio d’ore di pace nel pomeriggio, durante le quali Attila avrebbe dormito. Mai calcoli furono più smentiti dai fatti!
Restava comunque il fatto, di molto tranquillizzante, che per qualsiasi emergenza Paola, la sorella sposata di Giannino, era presente in città, e a lei Angela avrebbe potuto rivolgersi per ogni bisogna o, al limite, per la riconsegna del “pacco” alla legittima famiglia, cosicché papà e mamma avrebbero potuto terminare tranquillamente il loro giro.
Paola non aveva preso con sé in prima battuta il Ciclone perché il suo sposo, dopo l’incendio della camera da letto, le aveva imposto di non farlo mai più entrare in casa.
Giannino dal canto suo non stava più nella pelle: sapeva che avrebbe fatto i bagni in uno splendido mare, che avrebbe mangiato benissimo e che avrebbe avuto la libertà di rovistare ogni angolo di quella che aveva sempre considerato una casa affascinante.
Finalmente venne il gran giorno: Giannino si preparò con grande cura la sua valigetta, non quella dei vestiti, a cui aveva già pensato mamma, ma quella con gli utensili necessari ai suoi giochi: il coltellino americano, di gran lunga migliore di quelli svizzeri, con quella pinza-tenaglia che tutto tagliava, le forbicine, la pinza con i denti di topo, tutta roba “presa a prestito” dall’ambulatorio del babbo, una domenica pomeriggio.
A Giannino la zia piaceva: entrambi giocavano molto sull’ironia, anche se lui aveva solo 12 anni, e fra loro era un continuo fiorire di battute e di risate. La vacanza incominciava davvero con i giusti presupposti.
Quella sera lo Scapestrato mangiò un po’ svogliato, anche se la zia gli aveva fatto una meravigliosa quiche al salmone, perché lui aveva la testa da un’altra parte. Aveva adocchiato uno scatolone non abbastanza ben nascosto che esternamente aveva un’immagine molto allettante, una specie di fruttiera a tre piani, marrone, con scritto sopra “fontana di cioccolatte”. Neanche nei sogni più sfrenati il Terremoto si era mai immaginato che esistesse una fontana, attrezzo di per sé stupido e inutile, dalla quale uscisse il cioccolatte.
Tanto disse e tanto fece che riuscì a convincere la sfortunata zia: la prese semplicemente per stanchezza. Lo Scriteriato in questo era un grande maestro: riusciva infatti a mettere a perdere gli umani intorno con un tale impegno che nessuno gli poteva resistere più di dieci minuti.
Del resto anche la zia aveva una certa curiosità, perché quell’aggeggio, vinto a una fiera di beneficenza, non aveva ancora avuto l’occasione di usarlo. E mal gliene incolse. Decisero in armonia che lei sarebbe andata a comperare il cioccolatte (questo sì svizzero!) e lui avrebbe letto con attenzione le istruzioni.
Anche questo ben presto si dimostrò errore concettuale gravido di conseguenze nefaste.
Un kilo di cioccolatte comprò la zia, perché se si fa si deve fare bene.
Il Mostro la rassicurò sulla grande semplicità di funzionamento dell’apparecchio, desunta dal libriccino di istruzioni, redatto in otto lingue e la zia, incautamente, non domandò all’Assassino quale era stata la lingua letta. Costui le disse che per sciogliere il cioccolatte sarebbe bastato aggiungere un po’ di Calvados, e Angela, presa anch’essa dall’entusiasmo, non si domandò che cosa il Calvados avesse a che fare con tutto questo.
Il Demente le spiegò, con fare molto scientifico, che mentre lui metteva in funzione l’arnese lei avrebbe dovuto pelare al vivo arance e mandarini, e fare cubetti di un centimetro di lato con mele, pere  e ananas, e infilzarli tutti in lunghi stecchi, così poi da avere in mano spiedini pronti da inzuppare nel cioccolatte, solidificato un attimo dopo essere stato tirato su.
Era davvero in gamba il suo Giannino, pensò con una punta di orgoglio Angela, e sapeva il fatto suo. Lo lasciò armeggiare in sala e lei si ritirò in cucina a pelare la frutta.
Dopo un quarto d’ora entrò in sala reggendo un magnifico vassoio carico di frutta: ebbe come l’impressione che qualcosa non fosse al suo posto ma non riuscì nell’immediatezza a capire cosa fosse.
Il Fetente guardava rapito la fontana, che, ben lungi dall’emettere cioccolatte emetteva soltanto un sordo rumore, che ricordava la centrale di Fukushima 30 secondi prima dell’esplosione. Il cioccolatte, sciolto, avrebbe dovuto, volendolo, risalire lungo una vite senza fine per uscirne in cima, in marroni rivoletti che dovevano fare tre salti come le Marmore. Questo nelle intenzioni e nelle aspettative. La realtà fu di molto più tragica.  La macchina infernale sputava, con sempre maggiore potenza, catarroni di cioccolatte in tutte le direzioni, soffitto compreso, per cui in pochi attimi poltrone, tappeti, quadri e muri, vennero spruzzati da questa diarrea gocciolosa. Angela ebbe un attimo di smarrimento, Giannino di estasi, in accordo con la sua natura maligna.
Con un urlo lacerante la zia si avventò sulla fontana e strappò il filo dal muro, ma non così velocemente da non ricoprirsi a sua volta di cioccolatte al Calvados.
Adesso l’Abominevole batteva le mani, possiamo ben dirlo, felice.
Inutile rimarcare il fatto che la valigia dei vestiti non venne neanche aperta.
Angela finì di pulire il mercoldì mattina, perché si era di sabato. Resistette al desiderio di buttare la fontana nella spazzatura ma solo perché non c’era ancora la differenziata “oggetti diabolici”.

                  Omaggio a Vamba, a Pellegrino Artusi e, naturalmente, ad Angela



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