lunedì 21 gennaio 2013

La tigre

L'appuntamento era alle quattro e mezza, per fortuna non troppo presto, così da non avere ancora il pranzo sullo stomaco, né troppo tardi, per permettergli di tornare a casa a un'ora decente, senza suscitare sospetti e in tempo per la cena.
Uscito dal lavoro con la più classica delle scuse, il dentista, intanto che guidava gli venne da chiedersi da quanto tempo era stato stabilito quell'incontro. Non riusciva a ricordarlo con precisione, giorni, certo, ma il giorno preciso in cui gli aveva scritto "vieni a prendere il caffè da me alle quattro e mezza" non riusciva proprio a ricordarlo. Frase ambigua, senz'ombra di dubbio.
Ricordava invece molto bene la sensazione che aveva avuto leggendola: quella sensazione, provata poche volte nella vita, di avere a disposizione i denti e il pane. 
Già molti anni prima il suo cuore aveva sobbalzato per quella donna. E infatti a quel tempo ci aveva provato, almeno come lui era capace di farlo, ma la liason si era a un certo punto bloccata contro un ostacolo, che lui, più o meno inconsapevolmente aveva frapposto. 
Di recente c'era stato un riavvicinamento, forse perché lei, uscita da una qualche storia disastrosa, aveva sentito il bisogno di ricominciare subito. E quindi, nel breve volgere dei giorni compresi fra febbraio e aprile, si era conquistato quell'invito, "vieni a prendere il caffè da me".
La tigre abitava da sola, in un palazzo storico del centro di Mantova, nel quale il padre le aveva lasciato qualche appartamento, in uno dei quali aveva messo a vivere la figlia, ben controllabile. A quel tempo aveva un paio di anni più di lui. Aveva sempre coltivato una smagliante forma fisica, che era la sua maggior fonte di gioia. Faceva un lavoro normalissimo, che lei considerava di grande importanza: al di là di questo neo era una donna carina, giovanile, aperta, e non dava certo l'idea della tigre. Lui la vedeva con gli occhi velati dal sentimento e molto difficilmente avrebbe immaginato come sarebbe andata a finire.
Lui era un ometto qualsiasi, non insignificante, si badi bene, ma una persona comune nel più ampio senso della parola, con un lavoro comune, se pur discretamente retribuito, una famiglia comune, una moglie e due figli e una comune mancanza di qualsiasi interesse. L'età e la gola gli avevano fatto aumentare troppo il giro vita, e per lui la forma fisica era soltanto il ricordo della giovinezza. Cercava di lavorare poco e di mangiare tanto quando è a tutti noto che bisogna fare il contrario.
La sua "ossessione fondamentale" erano le donne. Non riusciva a vedere o a parlare a qualsiasi donna senza immaginarsela fra le proprie braccia, bisognosa di affetto e parimenti pronta a darne. Anche le donne casualmente incontrate nell'ambito del suo lavoro, un ufficio pubblico, suscitavano in lui fantasie molto perverse, come ad esempio un viaggio in pullman da Mantova a Venezia con la mano stretta nella mano, senza alcuna necessità di parlarsi, oppure qualche bacio ben dato su quel muretto appena fuori da paese natìo, in una luminosa notte d'agosto, su quel muro dove le coppiette si distanziavano spontaneamente di una cinquantina di metri. Insomma il nostro eroe voleva vivere una vita da quindicenne, e non voleva rassegnarsi all'idea di avere quarant'anni di più. Forse, e dico forse a ragion veduta, a quindici anni queste cose gli erano mancate, lasciando un vuoto che reclamava di essere riempito.
La tigre invece aveva sposato il primo amore, quello che probabilmente le aveva dato a quindici anni quelle cose che ad Alberto erano mancate. E aveva cercato di tenerselo stretto il più possibile, anche donandogli una figlia. Del marito della tigre non abbiamo notizie  precise: certo è che a un certo punto si trovò un'altra, che poi avrebbe anche sposato, e lasciò la tigre sola senza tanti discorsi. 
Alberto intanto si cercava un parcheggio. E un fiorista. Se vai a casa di una donna, e c'è anche una remota probabilità che scopi, è forse opportuno che tu faccia il signore, foss'anche la prima volta della tua vita. Obbligatorie le rose rosse, col gambo lungo, appena sbocciate, come l'illusione del vostro amore. Non gli bastarono i liquidi che aveva in tasca: usò il bancomat, incurante della traccia. Però un mazzo degno di una regina, pensò lui infilandosi nel portane con difficoltà. "Suona al tredici", gli era stato detto.
Si ascoltò il cuore: batteva, certo, meno velocemente di quello che si sarebbe ragionevolmente aspettato.
La porta di casa era socchiusa. 
Venne risucchiato dalla bocca di lei, senza una parola. Le rose caddero sul tappeto. Erano entrambi circa della stessa altezza per cui il bacio poté protrarsi a lungo - oggi chi mai potrebbe dire quanti minuti? - in un silenzio interrotto soltanto dagli schiocchi delle lingue. 
Già da quel momento però, anche se piacevole oltre ogni dire, la mente di Alberto vagava, gli affioravano alla coscienza ovvi rimorsi e meno ovvie fantasie che con quel momento e con quel contesto non avevano niente a che fare, tarli di un momento di felicità. E lui non ci poteva fare niente. 
La tigre lo trascinò verso la camera da letto e lui la seguì con difficoltà, con le labbra ancora appiccicate dalla saliva di lei. Pensò alla trasmissione del virus della mucca pazza, attraverso le secrezioni.
Fu molto più veloce la tigre, a spogliarsi, priva di qualsiasi pudore, felice di esibire il suo corpo statuario, mentre lui, anche se fosse stato l'Apollo del Belvedere, avrebbe avuto la stessa difficoltà a svestirsi. Si sentiva molto più Efesto e il levarsi i calzini gli costò parecchio.
Oltretutto con la finestra aperta, "sta tranquillo, tanto non ci può vedere nessuno". "Tranquillo un cazzo, stupida, come fai a non accorgertene".
In quell'attimo il pensiero parassita fu la fuga, poco proponibile dall'ultimo piano.
La tigre gli si avvinghiò addosso: praticamente lo immobilizzò. Sempre in silenzio, come a seguire con diligenza un suo preciso piano strategico. A dir il vero anche lei ebbe un attimo di perplessità, forse abituata a ben altro genere di reazioni, o almeno a una qualche reazione.
Soffocando una risatina si applicò a cercare di ottenere, questa volta necessariamente in silenzio, quel tipo di risultato che avrebbe alla lunga potuto soddisfare anche lei.
Niente, era come avere a che fare con un condannato a morte. Comunque anche questi tentativi si protrassero a lungo e, come nel caso dei baci di poco prima, non possiamo precisamente dire per quanto tempo. Alla fine del quale entrambi reputarono saggio accendersi una sigaretta.


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