lunedì 21 aprile 2014

La gatta

Siamo riusciti, dopo lunghe fatiche da parte mia, a terminare la ristrutturazione questa benedetta casa, e siamo materialmente "entrati" mercoldì scorso. Per festeggiare ho anche fatto una teglia di lasagne con i carciofi, come piacciono a lui...
Debbo dire che non mi ha aiutato granché in questi lunghi mesi, ma del resto già lo sapevo: da un “artista” non puoi pretender che si occupi, in maniera costruttiva, di piastrelle e di lavandini. Ciononostante quest'attico che ho scelto è comunque finito; ho anche voluto far fare una specie di giardino d'inverno, con un tetto completamente di vetro che ci permetta di vedere il cielo stellato. Anche il suo impianto stereo, ci ho messo, che mi ricordo bene di aver pagato un occhio della testa, mia. Ho ben imparato che a lui tutto è dovuto, perché chi è pervaso dal “sacro fuoco dell'arte” non ha né tempo né interesse per niente e per nessuno, figuriamoci per i ringraziamenti. Per quei quattro scalzacani dei suoi amici il tempo però lo trova sempre.
Del resto se rifletto, con calma e con attenzione, su che cosa mi leghi a quest'uomo, ho difficoltà a capirlo, anche se con me stessa sono sempre sincera. Quanto tempo è che stiamo insieme? A fatica realizzo che sono tre anni, e lui si comporta con me come se fossero trenta, gli anni. Mi tollera appena. Eppure io sento di amarlo con tutto me stessa. Ho bisogno della sua presenza accanto a me.
Ieri, in un momento di confidenza, mi ha fatto sentire la sua nuova canzone, un motivetto basato su un banale giro di do. Me la son fatta suonare un paio di volte e ci ho anche trovato un riferimento, molto poco carino, alla mia (ma che con tutto il cuore vorrei che fosse nostra) nuova casa. E' un'insolenza bella e buona ma da lui non mi aspetto niente di diverso.
Vado a cucinare, e che vada a quel paese lui e la sua musica da strapazzo.


Oggi ho finito questa nuova canzone, che mi covavo nella pancia da mesi. Non sono molti gli anni che sono passati ma se adesso mi guardo indietro i cambiamenti sono stati rapidi e sostanziali, e ciò che di bello vi è nella mia nuova situazione non è comunque riuscito a riempire quello spazio dell'anima che adesso è ancora, e chissà per quanto, occupato dai ricordi.
E questa donna che adesso mi ha in casa sua, donna sfortunata lo ammetto, non riesce a capire, forse non vuole, questo mondo che mi è rimasto dentro.
Samiya, si chiamava. Quanto mi è stata in casa? Due mesi, non di più. Una bellezza indiana assoluta, che il cielo mi aveva fatto cadere fra le braccia, E' bastato aiutarla a scendere dal treno e prenderle la valigia (ma perché ero in stazione?) e offrirle la prima colazione, seduti al vecchio bar Cavo, di lì a pochi metri.
Nulla mi ha raccontato del perché fosse lì e nulla le ho chiesto. Mi ha seguito docilmente a casa (no, non era proprio una casa, era un abbaino con monolocale retrostante...) e ha vissuto quei due mesi come una presenza silenziosa, costante, ancorché in certi giorni sparisse fino a tarda sera.
Giorni fortunati, quelli, in cui, dopo una cena indegna di questo nome, mi mettevo sul divano, in cui poi avremmo dormito, e imbracciavo la chitarra. Lei, alle prime note pizzicate, si accoccolava ai miei piedi e, ricordando forse la musica del suo paese, mi ascoltava silenziosa, con una tenerezza che le prorompeva dagli occhi umidi, e che mi spronava a cercare, con la voce e con la musica, le melodie che a lei piacessero di più.
Posso dirlo? Due mesi di paradiso in terra, in cui scrivere musica era diventato insopprimibile ma facile, e le note uscivano di getto dalla penna sul pentagramma, quasi senza bisogno di correzioni.
Gli amici erano curiosi, certo, e vollero capire il motivo di questa mia sparizione, ma ne furono edotti solo quando lei scomparve per sempre.

Non posso dimenticarti, piccola Samiya, e ti dedico, ovunque tu sia, questa semplice canzone, che resterà, per sempre, la nostra canzone.


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