giovedì 10 luglio 2014

SCAPPARE 4: LA TEMPESTA

Così, molto semplicemente e senza esserci messi d'accordo, day by day, l'Orco mi porta il pane e io gli porto il "plat du jour". Siamo entrambi contenti, certo, ma io, non foss'altro per curiosità, vorrei che qualche volta mangiassimo insieme.
"Dare da mangiare" è il mio imperativo categorico, e in un certo senso la mia nemesi. Non solo per nutrire, ma per ricevere lode e apprezzamento, necessari come l'ossigeno che respiro. E' per questo che il cucinare solo per me stesso mi avvilisce, al punto di arrivare, talvolta, a mangiare senza cucinare. Cucinare per qualcuno invece mi riempie di gioia, e più sono le persone più mi diverto. Il mio necrologio vorrei fosse: "Nella sua amata cucina, circondato dai suoi fornelli, preparando l'ultima cena per un vasto numero di commensali, ci ha lasciato col sorriso sulle labbra..... ", ah ah ah. Chissà se qualcuno avrà il coraggio!

Oggi il mare è mosso e c'è vento. C'è caldo, è vero, ma non me la sono sentita di fare il bagno, neanche con la corda "di sicurezza". Non vorrei che la corrente decidesse, mio malgrado, di riportarmi a Buenos Ayres. Perché qui sto bene.
E' strana l'aria, pregna di umidità appiccicosa. Anche il silenzio che mi avvolge non è lo stesso degli altri giorni. Il sole lo vedo poco, avvolto da grigi nuvoloni. Meno male che il plat du jour l'ho già preparato, perché non ho nessuna voglia di cucinare. Brutto segno. L'umore è a terra. Oggi, dopo dieci giorni che sono qua, non ho voglia di fare niente, e sto accoccolato con le ginocchia fra le braccia di fronte al moletto dove ha attraccato il gommone la prima sera, su un fazzoletto sabbioso che neanche in un impeto di ottimismo chiamerei spiaggia.
Cerco di non pensare ma non ci riesco, persone, situazioni, amori, mi affollano la mente, mescolandosi fra loro e confondendomi, "Quella volta nella toilette del treno, ma con chi ero??". Ho bisogno di svuotarmelo, il cervello, non di riempirlo di fantasmi. Non riesco neanche a dormire perché mi sento dentro un'agitazione che mi scuote. Non capisco cosa ho, so solo che non vorrei star male proprio qui, per mille motivi. Mi è scappata anche la voglia di fumare. L'ultima sigaretta che ho in bocca viene spenta, con divina millimetrica precisione, da un gocciolone di acqua.
Alzando la testa mi accorgo che il cielo è quasi nero. Altre gocce, fredde e pesanti, mi cadono sulle ginocchia. Devo tornare su, rapidamente. Chissà perché mi ero fatto l'idea che in questo posto non dovesse piovere. Non potesse piovere. Invece... non ostante faccia i cento passi quasi di corsa arrivo in casa marcio, e ansimante, come se qualcuno mi avesse inseguito per ammazzarmi. Mi spoglio e mi asciugo.
Il rumore del mare incomincia ad aumentare, le onde sono alte e si rompono sugli scogli con scoppi sordi. Da dove sono, nell'open space, dovrei essere più che sicuro, ragionandoci a mente fredda: viceversa mi prende una paura incontrollabile e inarrestabile, e mi figuro quando arriverà l'onda "buona", che si porterà via faro, Orco e cuoco. Non riesco a calmarmi. Ma chi me l'ha fatta fare di venire a seppellirmi qui, a Napoli si stava tanto bene... Mi sento impotente e non riesco a tranquillizzarmi. Il rumore della pioggia battente aumenta, si fa assordante, e gli scoppi delle onde esplodono sugli scogli sempre più forti. Mi stendo sul letto, rimbecillito dalla paura. Ho paura persino ad accendere la luce. Mi rannicchio nel buio. Gli elementi si sono scatenati tutti insieme contro il faro, e dentro ci sono io.
La cosa incredibile è che non arriva quel momento in cui la tempesta accenni a diminuire, in cui puoi, anche solo un attimo, pensare "il peggio è passato". No, cresce continuamente di intensità. Ma chi mai si sarebbe potuto immaginare un simile casino? E' tutta esperienza, anche se ne avrei fatto volentieri a meno.
Non voglio andare dall'Orco, e non voglio che pensi che ho avuto paura (chissà mai perché).
Immagino, senza esserne certo, che tutto ciò debba finire. Ho persino dimenticato il mio cattivo umore: no, non l'ho dimenticato. E' finito con l'inizio della tempesta, che non accenna a diminuire.
In un barlume di lucidità comunque realizzo che se finora non si è portata via il faro è verisimile che non lo faccia più, anche se il fragore cresce continuamente. Questo pensiero mi tranquillizza un poco. Mi tiro le coperte addosso (fa freddo davvero, adesso) e finalmente chiudo gli occhi, rannicchiato in posizione fetale. Mi manca il dito in bocca, ma arriveremo anche a questo.

Quanto avrò dormito? Fuori il cielo nero continua a vomitare incredibili quantità di acqua. Dalla finestra non vedo più niente, buio totale. Ascolto gli scrosci, ritmati, delle onde sugli scogli. Tiro fuori l'orologio che quando decisi di vivere con i ritmi del sole era finito nel cassetto delle posate. Sono le nove della sera. Ho parecchia paura ancora a toccare l'interruttore della luce, per cui mi accendo una stearica, che avevo adocchiato subito al mio arrivo. La sua luce tremula e fioca cambia la fisionomia di tutto quello che mi circonda, microfaro dentro un macrofaro. Mi viene in mente il campo di tennis nella pallina di tennis, ricordo delle lezioni universitarie. Cosa mi aveva dato all'esame quel professore? Ventitre, mi sembra. Era un allievo di colui che con stolida protervia era riuscito a far perdere all'Italia quel grande ciclista. Vedi ben che sopravvivere è solo questione di fortuna. Ed essere felici è un'utopia.
Cucinare al lume di candela.
Non allestire una romantica cenetta per due ma cucinare per sedare il panico, farsi qualcosa da mangiare che abbia l'effetto di rincuorare. Una frittata mi sembra una buona idea, la frittata necessita di fantasia e attenzione. Uova, sale, ricotta, erbe di Provenza. Cipolle e patate a fette, precedentemente saltate. Ho il pane dell'Orco. Due pere belle. Se voglio dormirci sopra il Cabernet me lo devo finire tutto, non c'è santo, anche perché la frittata sarà un poco indigesta.
E' poco verisimile scriverlo, lo ammetto, ma forse mentre sto cucinando il rumore fuori diminuisce. Le gocce che cadono sui vetri si fanno via via più fini.

Domani è un altro giorno.


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