mercoledì 7 marzo 2012

Bar

Pioviggina ancora. E’ una settimana che non si ferma, gocce minutissime che ti mettono in corpo un’umidità contro la quale non c’è cappotto. Sta finendo novembre e già qualche vetrina incomincia a prepararsi per il Natale: qui una ghirlanda di luci colorate, di fronte, in un negozio di giocattoli, una piccola slitta tirata da due renne di peluche. Un Natale povero, almeno in questo quartiere di periferia. Anche se sono solo le sei è già buio e nel viale le luci più forti sono i fari delle automobili che passano, e da cui devo tenermi a debita distanza, perché se no oltre al collo avrò bagnati anche i piedi. 
Mi piace la pioggia: riesce ad attutire ogni rumore e dà all'aria un odore di pulito. Talvolta mi ha anche permesso di piangermi addosso tranquillamente, senza paura di farmi vedere.
Ho solo un tramezzino in corpo da stamattina e sento lo stomaco brontolare. Non sono molti i bar qui intorno e, dopo tanti anni che vi passo per tornare a casa dalla mia farmacia, che poi non è la mia ma è solo quella in cui lavoro, li conosco abbastanza bene. Mi impongo di camminare ancora cinque minuti, per arrivare al Ragno d’Oro, che ha aperto da un’ora perché andrà avanti tutta la notte. Nando ti vende certe frittatine deliziose che gli fa la moglie a casa, gliele prepara poco prima di aprire il bar. Finirò anche stasera per mangiare qui, così da arrivare a casa sazio, senza l’incombenza di cucinare. Avrò solo da aprire la scatoletta della gatta.
Mi siedo al tavolo più vicino alla porta: non posso dire che sia il mio tavolo ma mi siedo sempre lì. Pronto a scappare e comodo a osservare ogni avventore con la curiosità di ascoltare una storia. E’ un piccolo gioco che non mi nego, e qualche sera mi diverte parecchio.
Il Ragno d’oro non è un bar particolarmente elegante ma non è una bettola. E’ pulito e non ha odori sgradevoli ma ha una certa aria triste, di povere cose e povere vite, con quei tavolini rotondi di metallo su cui appoggiano tovagliette di carta a fiori, quelle a poco prezzo. E i tubi al neon appesi al soffitto non contribuiscono certo a renderlo più allegro. C’è un flipper e un juke box, entrambi funzionanti con la moneta da cinquanta lire. Se hai voglia di ballare con la tua compagna puoi mettere un disco e nessuno ti dice niente. A me piace Peppino di Capri, e anche Buscaglione, che però non puoi ballare.
Ma stasera non balla nessuno e siamo in pochi. Mi siedo e chiedo a Nando di portarmi una panino con la sua magica frittatina alle erbe, berrò il mio solito biancoamaro.
Intanto che mangio incomincio a guardarmi intorno. C’è un tizio a un paio di metri da me, promette bene. Potrà avere quarant’anni, quarantacinque forse. Ha i capelli scuri, tutti tirati indietro, schiacciati dalla brillantina. Due baffetti alla Zorro, quest’anno sono di moda, un incarnato olivastro. Stranamente gli occhi sono chiari, e fanno un bel contrasto. Porta il trench, abbottonato solo dalla vita in giù, sotto cui spunta una camicia candida e una cravatta scura. Immagino che non abbia problemi con le donne. Lui.
Ha mandato via Nando che gli chiedeva l’ordinazione. Si vede che aspetta qualcuno, anche perché è nervoso e non riesce a stare fermo. Solo il portacenere ha davanti a sé, e lo riempie di sigarette: ne accende una con il mozzicone della precedente. E' evidente che aspetta una donna.
Visto che la serata si fa interessante mi ordino un’altra frittatina, questa volta al prosciutto, e un altro biancoamaro. Aspettandoli mi accendo una Nazionale. Un accesso di tosse mi induce a spegnerla dopo tre boccate. “Devi trovare in te la forza di smettere”, mi ha detto il titolare. Fa presto lui a parlare.
Eccola, è arrivata, finalmente.
E’ una cavalla di razza, con una criniera rossa meravigliosa, che sotto la luce del neon si ammanta di riflessi purpurei. La cintura le marca una vita molto piccola che scende in un sedere perfetto e in due gambe che non finiscono mai. E’ altissima. Indovino un bel seno turgido tra i risvolti dell'impermeabile. Ha un rossetto di un colore un po' volgare ma che le dipinge una bocca da sogno, una bocca caravaggesca. Avrà venticinque anni. E' bellissima e ne è molto consapevole. Complimenti, te la sei scelta niente male.
La rossa ha in mano un ombrellino giallo, che con gesto infastidito getta nel portaombrelli. Si siede e accetta di malavoglia il bacio che lui le dà, appena sulle labbra.
“Ho solo dieci minuti” esordisce, con tono così alto che la sente tutto il bar, “poi devo andare a teatro. Dimmi quello che mi devi dire”.
“Potrai ben bere qualcosa, Mary” le risponde lui con tono di preghiera.
Vedo che le cose si mettono male. L’aria, ancorché umida, diventa elettrica.
Non ho capito cosa ha ordinato l’uomo per entrambi, forse un bitter. Qui da Nando se vuoi le patatine te le devi comperare a parte, per cui i due bicchieri rossi hanno in mezzo solo il portacenere colmo.
Lui incomincia a parlare, a un tono di voce troppo basso, e non riesco a capire quello che dice. Devo aguzzare le orecchie. No, forse è meglio aguzzare l’ingegno. Mi avvicino con aria sciocca al flipper e faccio finta di cercare il cinquantino in tasca. Rubo questo frammento: “Cerca di capire la mia situazione” e poi “Lo sai bene che ti amo”.
Non sono un’aquila, non farei il farmacista a ore, ma mi è abbastanza chiaro lo stesso tutto il resto della storia, quello che c’è stato prima e quello che ci sarà dopo.
E’ la solita storia, antica come gli uomini e come le donne: c’è un uomo che vuole tenere il piede in due scarpe e una donna che vuole credere, contro ogni evidenza, cose che non potranno succedere mai.
Saranno un paio di minuti che lui ha smesso di parlare, e la sua fronte è madida di sudore, come se piovesse anche nel bar.
A un tratto lei si alza, prende il bicchiere pieno e glielo tira in faccia, con gesto premeditato.
“Bastardo”, l’ho sentita mormorare, “passa soltanto a prendere i tuoi stracci e non farti mai più vedere”.
E’ uscita lentamente e non ha preso l’ombrello.
Lui col fazzoletto si asciugava il bitter e il sudore.
S’è acceso un’altra sigaretta, guardandosi intorno.


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