mercoledì 21 marzo 2012

Internista giovane


Era semplicemente bastato un attimo. Quella paziente non sarebbe andata più via dal suo cuore.
Sergio era un giovane medico di recente assunzione in quel reparto di medicina interna: aveva fatto, e con onore, un curriculum che in undici anni esatti l’aveva portato a essere medico e specialista in medicina interna, e qualche diagnosi brillante, o forse fortunata, aveva anche dimostrato che possedeva un buon intuito clinico. In quel vecchio ospedale la medicina interna era diventata, come in tanti altri, la via finale comune di tutti quei pazienti che gli altri reparti, più moderni, non volevano, e anche di quei pazienti che per la pochezza dei loro sintomi, o per la manifesta difficoltà a raccontarli, non riuscivano ad essere utilmente indirizzati in altre specialità.
Sergio, anche se da poco assunto, non era contento di quel reparto ma non si sarebbe mai permesso di rifiutare un posto di lavoro “fisso”, come era stato il sogno del Padre. Il primario del reparto, che Sergio in cuor suo appellava “primariotto”, era un signore opaco che aveva perso, e da anni, ogni entusiasmo per l’esercizio della medicina, e si trascinava stancamente, giorno dopo giorno, in un’attività che lui per il primo considerava squallida routine, non trovandovi più alcun interesse, né umano né scientifico.
Il reparto di medicina interna in quel vecchio ospedale era costituito da alcune stanzette, taluna a due taluna a quattro letti, più un paio di stanze con un unico letto, riservate in genere a coloro che erano prossimi all’ultimo combattimento, più raramente a pochi raccomandati.
Quel pomeriggio di agosto Sergio, rientrato da qualche giorno di ferie, riprendeva l’attività con la controvisita del pomeriggio. Dopo alcuni pazienti, controllati come sempre con grande cura ma con patologie del tutto frequenti e diagnosi consolidate, e dopo aver fatto una prima visita a un giovane che le difficoltà della vita, e la sua poca tendenza a reagirvi, avevano portato già a un evidente ingrossamento del fegato, entrò nella stanzetta singola e la vide. L’infermiere che lo accompagnava gli avrebbe più tardi detto di come si era facilmente accorto che Sergio aveva mostrato un attimo di smarrimento.
Nella poltroncina a fianco del letto era seduta una donna non più giovanissima, di carnagione scura ma non olivastra, tutt’al più molto abbronzata, con capelli castani scuri a caschetto e lineamenti del viso regolari, forse con il naso lievemente arcuato. Ma gli occhi colpirono Sergio come una bastonata. Due occhi nerissimi e vivacissimi, contrastanti con l’insieme di tranquillità che emanava da quella persona. Due occhi che Sergio immaginò potessero nascondere una vita molto meno tranquilla di quello che sembrava, due occhi che Sergio avrebbe voluto avere subito a un centimetro dai suoi. Aveva indosso solo una camicia da notte rosa con le maniche corte, data la stagione, sotto cui Sergio immaginava un seno ancora giovanile e molto attraente, e non piccolo. La signora, Clara disse di chiamarsi, era ricoverata dal primo pomeriggio per cui Sergio doveva farle la prima visita. Ed era anche l’ultima paziente della sala, per cui avrebbe potuto prendersi tutto il tempo che voleva. A casa lo aspettava solo la madre, che ben sapeva che Sergio non aveva ora.
Incominciò quindi a chiedere le prime cose a Clara: come stanno i genitori, le malattie dell’infanzia, insomma le solite domande, e si rese subito conto che non la stava ascoltando, ma galoppava con le sue fantasie, anche se immaginava soltanto di poter essere fuori di lì e di tenerla per mano: Sergio era un inguaribile romantico. Si scusò quindi, le disse che si era distratto pensando a un altro paziente, e che fosse così gentile da ripetergli cosa aveva detto. Lei, con un impercettibile sorriso, annuì e ripeté ciò che aveva dianzi detto. Non era però una buona raccontatrice, forse per ritrosia forse perché non valorizzava dati clinicamente rilevanti, e Sergio, alla fine dell’anamnesi, brancolava ancora nel buio. Si augurò che l’esame obiettivo potesse dargli qualche lume. Le chiese, con la migliore gentilezza che aveva, se potesse spogliarsi per la visita. Ebbe quindi la possibilità di vederla solo con la lingerie e si accorse che Clara era ancora veramente molto piacente, e non aveva nulla da invidiare a certe cover girl che in copertina mostrano soltanto la loro anoressia. Clara aveva un bel corpo, molto femminile e con due gambe lunghe ma non ossute. Mentre andava avanti con la visita Sergio si domandava se Clara si fosse accorta che lo turbava, e proprio per questo cercava di essere il più formale e professionale possibile: ma non era facile, e negli occhi di Clara credette di leggere qualcosa.
Le bofonchiò qualcosa circa il suo disturbo, che pensava fosse riferibile a un colon irritabile e le prescrisse un’idonea dieta e un esame radiologico. La salutò nella maniera più formale possibile, e lei capì che era imbarazzato e timido.
Quella notte Sergio, nel suo lettone a una piazza e mezzo, non riuscì a prendere sonno, e si girava frenetico, e non si levava quegli occhi dalla testa. Avrebbe voluto tante cose, avrebbe voluto prenderle le mani nelle sue, avrebbe voluto portarla via da quello squallido posto, non sapeva neanche lui cosa avrebbe voluto, avrebbe voluto tenerla fra le sue braccia, forse e soltanto, e stringerla.
Arrivò la mattina dopo in ospedale che era uno straccio, se ne accorsero tutti, colleghi e infermieri. Durante il giro l’unico suo interesse era arrivare a quella stanza, e si mostrò distratto a tal punto che il primario non esitò a metterlo alla berlina: “Forse iersera si è dato alla pazza gioia, collega?”. Lo lasciò parlare, tanto ormai aveva nella testa solo una cosa.
Quando finalmente la rivide capirono entrambi di essersi pensati tutta la notte, e Sergio ne gioì in silenzio.
Aspettava con ansia il momento di poterle parlare: ma per dirle cosa, poi? Non aveva il coraggio non solo di dichiararsi, figuriamoci, ma neanche di scambiare due parole. E dire che durante l’anamnesi aveva cercato di scoprire che cosa potessero avere in comune, ed erano parecchie cose, prima fra tutte la cucina, di cui Sergio era un appassionato e riconosciuto cultore, e poi la musica dei loro tempi, i beatiful sixties.
Non ce la faceva. E la scusa per non provarci era anche buona, infatti Sergio pensava che non fosse “etico” intrattenere rapporti con i pazienti, e questo era, ed è, del tutto vero. Ma Clara no, non doveva e non poteva essere solo una paziente.
Lei dal canto suo rimase un poco delusa e indispettita, che quel ragazzo che le aveva fatto capire tante cose, non riuscisse neanche a dirle “come va?”. Dire che ci aveva fatto un pensiero sopra è forse troppo, ma certo le sarebbe piaciuto conoscerlo meglio. Le piaceva.
Il giorno dopo Clara firmava per dimettersi contro il parere dei sanitari e Sergio, arrivato nella cameretta con il cuore in gola, nel non vederla ebbe un tale capogiro che dovette immediatamente sedersi, altrimenti si sarebbe ammucchiato su di sé come un sacco vuoto, con gli occhi gonfi di tristezza.







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