sabato 10 marzo 2012

Finalmente c'era riuscito


Dopo qualche tentativo, più allusioni che altro, in cui domanda e risposta erano stati del tutto impacciati, aveva preso il coraggio a quattro mani, e le aveva scritto, col solito mezzo, invitandola a cena a casa sua.
In realtà non ci credeva più di tanto. Era con la testa sempre immersa in quel turbine con tanti volti di donne che giravano incessantemente, e sembravano dirgli “fermati! rifletti anche solo un attimo, ti stai consumando con le tue mani...”. Ma non c'era verso.
Quel gioco era diventato un gioco al massacro, progrediva come le biglie colorate di un biliardo inclinato da una mano invisibile, con velocità crescente e verso il vuoto, delle persone ma soprattutto dei sentimenti, la sua paura peggiore.
Ciò non toglie che l'invito era stato insperatamente accolto, e il dover preparare una cena, senza se e senza ma, era un'operazione da compiere, e con la precisione del chirurgo. Cosa sarebbe successo dopo, ancor meglio se durante la cena, era un problema in quel momento secondario.
La cena era in quel momento diventata l'emblema dell'amore, e doveva trasmettere, nei cibi, l'ansimare del desiderio.
Ovviamente non era così stupido da inventarsi una di quelle cene con i cosiddetti cibi afrodisiaci (aveva sempre sorriso pensando ai cibi “afro-asiatici”), che poi afrodisiaci non riescono a essere, non puoi mangiare cento ostriche.........
Avrebbe dovuto essere una piccola cena, ma non minimalista, in cui ogni più minuto particolare, dalla piega del tovagliolo all'etichetta del vino, doveva essere prima pensato e meditato, così come avrebbe dovuto dimostrare tutto il lavoro, del cuore prima che delle mani, che c'era stato dietro.
Sorse a quel punto la domanda solita: prima il mercato o prima il menù? Non era mai riuscito a risolvere questo dilemma e, quando organizzava i grandi pranzi, seguiva, più che l'istinto del momento, le necessità contingenti, in primis quella di conciliare l'uscita dal lavoro, mai alla stessa ora, con l'orario del mercato o di quei negozietti di cosine un po' sfiziose che erano diventati mèta di frequenti pellegrinaggi.
Dato che era venerdì sera decise che la spesa l'avrebbe fatta l'indomani mattina, con tutta calma, e, dopo il riposo pomeridiano, avrebbe dato inizio alle danze. Si applicò quindi a studiare il menù.

Più ci pensi e meno idee in testa ti vengono.
Hai la libreria piena di libri di cucina (e non solo di cucina: c'è stato un momento della tua vita in cui hai pensato che comperare sempre più libri fosse giusto, così come pensavi che fosse giusto comperare quella che sembrava l'enciclopedia perfetta. Adesso invece ti guardano, fanno bella mostra di sé in una casa piena di librerie, e anche se sei contento di avere il Battaglia, che spesso hai consultato, e ti ricordi l'emozione di quando hai letto il lemma “amore”, tutto ciò, nell'epoca in cui ogni informazione è cercata in rete, ha perso il suo antico significato).
Allora , questi libri.... sfogli distrattamente, cerchi una foto che ti ecciti, come fosse un viso di donna, ma un bel viso, un viso pieno di desiderio. Provi a cercare descrizioni semplici, non ti sono mai piaciute le ricette arzigogolate, guardi l'Artusi, la bibbia, non riesci a concentrarti. Il suo volto ti è continuamente davanti, dolcemente silenzioso, e te la immagini mentre ti abbraccia, se mai ti abbraccerà, e ti figuri la sensazione di dolcezza che si spalma su ogni centimetro di pelle.
Cazzo, se continui così la preparazione del tuo menù se ne va a quel paese. Concentrarsi bisogna.
Antipasto e secondo? E il dessert? Non puoi mica ingozzarla, ma non devi fare neanche la figura di quello che non si è impegnato, questo mai.
Ti decidi per un'entrèe e un secondo, leggero questo, seguiti da un piccolo dessert.
Se poi ci dovesse essere un seguito basta non bere tanto. Anche se tutto dovrà ancora succedere, pensi saggiamente che ti accontenteresti anche di due baci (magari ben dati), seduti vicini, davanti a un bicchiere di Passito, a raccontarsi, meglio a condividere, le storie delle vite, anzi forse sarebbe proprio meglio, che non faresti le solite miserabili figure.
Hai sempre invidiato i leoni, loro hanno cinquanta rapporti al giorno, magari brevissimi, e disperdono tranquillamente il loro sperma in accoglienti cavità spinti solo da un istinto, antichissimo, che gli impedisce di preoccuparsi della validità della loro erezione. Basta, adesso devi decidere.
Primo: spaghettini ai ciliegini bruciati
Secondo: insalata di pollo con pesche noci
Dessert: bianco mangiare
Per il vino: lo champagnino andrà sempre bene, basta che non sia di marca cesso.
Il problema dei ciliegini è solo uno: avere il coraggio di bruciarli e l'accortezza di fermarsi un secondo prima della fine, è proprio il contrario di quello che sto facendo io, infatti, conoscendomi, so che li brucerò, o forse no, non so bene, quando cucino non capisco più niente, sono semplicemente isterico.
“Bruciare” i ciliegini si ricollega alla grigliatura del pollo (cosa più semplice se fatta con la sonda), ma l'operazione importante è trovarlo, questo benedetto pollo, che sappia di qualcosa che non sia il gesso delle lavagne.
Lo so, avvicinare pollo e pesche la farà trasalire, anche se non avrà il coraggio di lamentarsi, i semi di papavero poi...., riuscirò a sorprenderla.
Il dessert dovrà essere l'apoteosi della dolcezza e della delicatezza, proprio come quei pochi baci che cercherò di rubarle, con l'alito ancora di fior d'arancio e vaniglia.
Non ci sarà neanche bisogno del coulis di lamponi, solo bianco, come un foglio pronto sotto la penna, per scriverci una nuova storia.

Non era stato difficile, alla fine si era preparato tutto con cura meticolosa, gli restava pochissimo da fare, praticamente solo cuocere gli spaghettini. Il dolce era in frigo. La tavola era pronta, tovagliette all'americana con tanti tipi di pasta diversi, a lui sembravano allegri. Aveva anche riordinato bene la cucina: non diciamo che fosse luccicante come certi specchi da barbiere ma comunque non dava un'aria di disordine, e anche il divano non aveva più l'aria di accogliere tante notti insonni.
Mancava un'oretta.
Accese la radio (wonderful sixties!) e si accoccolò su una poltrona con il sudoku in mano, e il cuore in gola. L'ora più lunga. Ogni cinque minuti l'orologio (ma funzionerà bene, mi sembra fermo!), le sigarette non le contava più, se mai le aveva contate, la pressione saliva in maniera estremamente tangibile, l'adrenalina girava come quella Giulietta che si sarebbe voluto comprare (Quadrifoglio verde, 235 cavalli), la saliva era finita.
Dopo tre quarti d'ora di passione arrivò un messaggino, semplice e brutale “Scusami, non posso, ho un impegno improvviso.”
Doveva aspettarselo, forse se lo aspettava davvero, o soltanto ne aveva una paura fottuta.
Era successo, era un rischio che avrebbe dovuto calcolare, o almeno prevedere e premunirsi un po' di più, almeno dal punto di vista emotivo. E i baci? E il sentirsi, per un po' di tempo almeno, “vicini”, ma come l'intendeva lui? Tutto finito, forse rimandato, anche se con qualche capello bianco in più.
Sentì una carriolata di mattoni scaricarsi sulla schiena, e gli occhi si annebbiarono. Riuscì con grande difficoltà a rispondere con un altro messaggino, perché non si potesse dire che non era una persona educata, per quel che serve in questo mondo.
“Non ti preoccupare, sarà per un'altra volta”. Si mise a piangere senza ritegno, come un adolescente.


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