martedì 8 luglio 2014

SCAPPARE - 1


Mezzora fa ho salito la scaletta. Per non vedere Napoli per l'ultima volta sono andato di corsa in cabina, e scrivo dando le spalle all'oblò. Sto ancora tremando e mi sento una tenaglia nel petto. Faccio qualcosa di cui non posso fare a meno ma che nello stesso tempo mi induce un dolore terribile. Non lascio cose materiali rilevanti, il contenuto della mia scrivania sarà la cosa di maggiore valore. Lascio affetti, che poi sono persone, ancora ignare, per poco, di questa fuga da ladro. Come potranno capire se io stesso faccio fatica a capire? A un tratto ho deciso di seguire il vento, o forse il vento mi ha chiamato, e non c'è stato più verso. Giorno e notte questo vento mi ha fischiato nelle orecchie, ricordandomi che non avevo scelta. Quanto gli ho resistito? Non molto, solo qualche mese. I miei figli capiranno. Lei non lo so, ma me ne preoccupo meno. E i parenti non sono poi così importanti. Qualche amico ci resterà di sasso, qualche altro, in buona fede, penserà: "Ne ero sicuro, è proprio il tipo da fare queste cose".
Non so cosa mi aspetta a Buenos Ayres ma so che non sarà facile ricominciare, anche se mi han detto che in Argentina c'è lo spazio per chi vuole lavorare con impegno. Ho un vecchio mestiere che faccio da tanti anni. Ho un nuovo mestiere, che è una passione coltivata da tanti anni: quale dei due mi darà da mangiare?
Pensieri di attesa e di speranza mi affollano il cuore, oltre a pensieri di distruzione e di morte, la mia, naturalmente, che ben presto mi verrà da tanti augurata con tuttoil cuore.
Non mi sono neanche accorto che la nave è partita, e dall'oblò Napoli sta sfumando, negli occhi e nel ricordo.
Che cosa abbiamo sbagliato? Nei momenti più bui della vita, adesso che sono passati, aver vicino lei li ha resi più sopportabili. Eppure qualcosa non ha funzionato. Tre figli sono la famiglia che abbiamo costruito, ed è stato bello. Ma qualcosa non deve avere funzionato. Giorno dopo giorno si è allargato fra di noi uno spazio che a un certo momento non è stato più colmabile. Forse anche fare tre figli è stato uno sbaglio, a questo punto non sono più sicuro di niente.
Quante sono le persone che, in analoga difficoltà, non si siano regolate così drasticamente? Me ne vengono in mente almeno cinque. Non persone insensibili, né particolarmente cattive, uomini normali che a un certo punto se ne sono andati "semplicemente" di casa, si sono staccati, e hanno provato a ricostruirsi una vita, talora con risultati peggiori di quelli da cui erano partiti. Gente che non per questo si è sentita così disprezzabile da sentire il bisogno impellente di scappare il più lontano possibile, per lasciarsi dietro il rancore e la tristezza. Beh, la tristezza me la porterò dietro fino all'ultimo respiro, ovvio. L'incertezza no.
Ricominciare. E' da questa parole che potrebbe nascere tutto.
Da piccolo, sei o sette anni, avevo scoperto la macchina da scrivere. oggetto meraviglioso, con la capacità di scrivere "in bella scrittura", capacità enormemente ambita da chi riusciva a rovinarsi ogni fine settimana perché il sabato a pranzo portava a casa quaderni con lunghe note di demerito, per "cattiva scrittura". Un giorno decisi quindi di ricopiare una poesia, forse per farla vedere a Lui e ricavarne una lode. La ricordo molto bene: "Ovunque il guardo io giro, ecc. ecc". Metastasio.
Ma a sette anni non avevo fatto i conti con l'oste: l'oggetto aveva sue regole e impararlenon era proprio semplice, richiedeva per lo meno un po' di addestramento, per cui incominciavo a scrivere ma, inevitabilmente, scappava qualche errore, o di parola storpiata o di mancata spaziatura. E ciò non era tollerabile, se tutto avrebbe dovuto essere perfetto.
Motivo per cui, con ginnico gesto, il foglio volava fuori dalla macchina e volava il cima alla libreria. E così uno dopo l'altro. Non ricordo per quanto tempo ma diciamo che dopo mezz'ora rinunciai a ricopiare Metastasio. Che poi non è questo gran poeta.
Quando le palline di carta saltarono fuori, con scritta una o mezza riga con qualche piccolo errore nessuno comprese e nessuno spiegò.
Un'altra delle mie fissazioni è quella di ricominciare l'Università. Ma proprio dall'inizio, e, naturalmente, fruendo dell'esperienza accumulata in questi anni di professione. Sarei uno studente perfetto, capirei ogni spiegazione alla prima e avrei u curriculum studiorum più che lodevole. Invece mi porto il cruccio di non avere imparato tutto quello che potevo e dovevo, di essere inadeguato.
Comunque ho ricominciato ad andare a scuola, un'altra, e non ostante la precedente risalga a quasi quaranta anni fa, inseguo la maturità, in ogni senso.

Ormai dall'oblò si vede soltanto mare, e il sole sta velocemente avvicinandosi alla linea dell'orizzonte. Se a Dante veniva la malinconia figuriamoci a me.... quandosmetto di piangere è buio. Il rumore delle macchine è sordo e continuo.
E se affondassimo? L'esperienza del naufragio mi manca, e potrebbe modificare in meglio il mio carattere e il mio atteggiamento verso la vita. Magari salverei qualcuno, o qualcuno salverebbe me, ignaro del gran torto che starebbe facendo all'umanità. Magari salverei una donna bellissima, che mi sarà riconoscente per il resto della vita. Una meravigliosa bambola, con due gambe da urlo e con un cespuglio bruno in testa, semprein disordine. O magari, cosa anche più probabile, rinuncerei a salire su una scialuppa per fare posto a un bambino, ancorché brutto e antipatico, solo per rivivere una scena di Capitani Coraggiosi con Spencer Tracy. Ho sempre adorato i beau gestes, e sarei capace di rinunciare persino alla vita. Solo per una bambino, ovvio.
Esco, per lasciare in cabina questi pensieri un poco oziosi. I ristoranti della nave sono ormai vuoti ei camerieri preparano, con mosse precise, la sala per il breakfast di domattina. Chiedo di entrare in cucina e mi presento come un "collega". Lo chef di turno è simpatico, e mi fa preparare due sandwich di pollo. Ci volevano....
L'essere colleghi stabilisce immediatamente un punto d'incontro che non voglio perdere. Ci sediamo in un angolo della sala. L'avere davanti un estraneo mi invoglia a raccontargli quello che ho combinato. Gli scappa da ridere e fa sorridere anche me. Ma ride senza cattiveria.
"Vuoi lavorare in una cucina a Buenos Ayres?" mi domanda, improvvisamente serio. "Certo!". Non so neanche come si chiami, ed è per questo che mi affido a lui. Mi fido di uno sconosciuto. Fiuto o follia? Non lo so proprio.
E così parto solo come un cane e viaggiando trovo un amico. Enzo, si chiama. E' un po' più giovane di me, anche più normale di me. Dopo i pasti ci sediamo tranquilli in sala, al solito tavolo, lui con la sua bella divisa e io con i calzoncini da turista, e ci raccontiamo le nostre vite, accompagnandole con tante sigarette. Lui se le arrotola, io le compero già fatte. So che non dovrei fumare ma questo è un momento difficile. Non tutti sono in grado di capire che aiutano. Ogni tanto i nostri discorsi vengono interrotti dai capipartita, che chiedono istruzioni. Enzo risponde a tutti con cordialità e precisione. E' un bravo capo, vuole che i suoi crescano. Non come il mio...
Questi sette giorni volgono al termine. A Buenos Ayres, grazie ai buoni uffici di Enzo, mi aspettano già. Inizierò come chef tournant e sarà l'occasione per dimostrare cosa so fare. Certo, dovrò anche trovarmi un posto per dormire, ma il lavoro prima di tutto. Sono contento, moderatamente.
Chissà, forse troverò una donna, forse ricomincerò, forse farò gli stessi errori, anzi sicuramente.
Mi addormento con queste paure e queste speranze.. Domattina alle otto entreremo mel porto di Buenos Ayres. Tanti auguri.


TO BE CONTINUED

1 commento:

  1. Bellissimo! Contemporaneamente malinconico e pieno di speranze. Bravo

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